Il test di Rorschach, noto anche come “test delle macchie d’inchiostro”, sfrutta la naturale tendenza dell’uomo a dare un significato a stimoli ambigui. Creato dallo psichiatra svizzero Hermann Rorschach nel 1921, consiste nell’osservare una serie di dieci tavole contenenti macchie d’inchiostro simmetriche e descrivere ciò che si vede. Le risposte, apparentemente casuali, vengono poi analizzate da uno psicologo esperto per ottenere informazioni sulla personalità, sui processi mentali e sullo stato emotivo del soggetto.
Durante il test, dunque, viene presentata una tavola alla volta, chiedendo al paziente di descrivere tutto ciò che rappresenta ai suoi occhi. Non esistono risposte giuste o sbagliate: ciò che conta sono i dettagli delle descrizioni, il tempo di reazione e le emozioni che accompagnano le risposte. L’interpretazione di queste, poi, è un processo complesso che richiede una profonda conoscenza della teoria psicoanalitica e di specifiche tecniche di codifica.
Nonostante il suo utilizzo per molti decenni, ad oggi il test di Rorschach è stato sottoposto anche a diverse critiche. Alcuni studiosi, , hanno messo in dubbio la sua validità scientifica, sostenendo che l’interpretazione delle risposte è troppo soggettiva e che il test manca di una solida base empirica.