Dalla prima volta in cui fu applicato, nel 1986, per risolvere un doppio caso di omicidio a sfondo sessuale nel Leicestershire, il test del DNA è diventato uno strumento d’indagine essenziale nelle indagini criminali. Può confermare la colpevolezza di un’indiziato o, al contrario, assolverlo. Ma di cosa parliamo quando si parla di test del DNA? Proviamo a capirlo.
Cos’è il DNA?
Anzitutto partiamo dall’oggetto, il DNA, ovvero l’acido desossiribonucleico, il nostro codice genetico. Una macromolecola costituita da quattro basi azotate (adenina, timina, guanina e citosina) organizzate negli esseri umani in 23 coppie cromosomi. Il DNA di ognuno di noi è unico e non replicabile. Esso è per così dire la nostra carta d’identità.
Dove si trova? Può essere estratto da ogni reperto biologico: sangue, capelli, saliva, urine, spermatozoi e pelle. Ecco perché sulla scena del crimine tutto viene scrupolosamente refertato e consegnato alla polizia scientifica che compie poi le analisi sui reperti.
L’analisi del DNA
L’analisi del DNA è utile non solo per l’identificazione diretta di un colpevole, ma anche per quella indiretta, trovata tramite ereditarietà. Dall’esame, infatti, è possibile risalire alla persona sospetta ricostruendo i legami di parentela genetica. Come per esempio successo nel delitto di Yara Gambirasio, quando si arrivò all’identificazione di quello è che tuttora considerato l’omicida della ragazza, Massimo Bossetti, tramite un’indagine genetica a tappeto su migliaia di uomini.
Che parte del DNA si usa per le analisi forensi? Si utilizzano gli short tandem repeat, ovvero si analizza quante volte si ripetono le sequenze di alcune basi. Il numero di ripetizioni differisce da individuo a individuo. Oppure, il DNA mitocondriale, un materiale genetico che si trasmette inalterato dalla mamma ai figli, senza contributo del padre.
La storia del test del DNA
Il creatore della prova del DNA fu l’inglese Alec Jeffreys che parla per la prima volta di impronta genetica. L’anno seguente il test venne usato per scagionare una persona accusata di stupro e duplice omicidio di due ragazze.
Il test sbarcò in Italia la prima volta nel 1987, per l’omicidio di Lidia Macchi, tuttora irrisolto. Il DNA però servì a scagionare Stefano Binda, condannato all’ergastolo in primo grado.
Dal 2004, la Corte di Cassazione penale ha stabilito che gli esiti dell’indagine genetica sono prove a tutti gli effetti.
Tra i casi celebri in cui il test del DNA ebbe un ruolo importante ci fu quello di O.J. Simpson. Nonostante la prova del DNA avesse indicato lui come olpevole dell’omicidio della moglie e di un suo amico, i legali scovarono una falla nella catena di custodia dei campioni, invalidando il test.
Nel 1996 negli USA venne istituita la prima banca dati del DNA, il Codis. In Italia questo fu possibile nel 2017.