Il batterio mangiacarne, il cui nome scientifico è vibrio vulnificus, è un microrganismo molto infettivo che, una volta entrato nel corpo, infiamma gravemente il tessuto connettivo, provocando nei casi più gravi la setticemia, ovvero una proliferazione batterica massiva. O severe infezioni intestinali. L’appellativo mangiacarne deriva dall’azione del batterio che non si nutre di tessuti, ma ne provoca la decomposizione attraverso il rilascio di tossine. Di recente il batterio ha colpito un uomo di Rieti, curato in ospedale a Terni,
Solitamente questo batterio, appartenente alla famiglia del Colera, vive in acque tropicali, quindi molto calde. Adesso, con l’innalzamento della temperatura delle acque, sta migrando anche in altre zone, tradizionalmente più fredde.
Il quadro clinico da infezione da vibrio vulnificus cambia a seconda di come si entri in contatto con il batterio. Quando il contagio avviene da assunzione di frutti di mare e crostacei contaminati, si sviluppano patologie gastrointestinali molto debilitanti, che portano a diarrea, nausea, vomito e dolori addominali.
Nel caso in cui il vibrio vulfinficus penetri attraverso ferite aperte (o fori di piercing), l’infiammazione colpisce subito i tessuti circostanti alla ferita. Che se non trattata con tempestività si diffonde rapidamente in tutta la zona colpita. In questo caso si può originare una fascite necrotizzante, ovvero una lenta distruzione dei tessuti, curabile attraverso l’asportazione della parte compromessa e successiva somministrazione di antibiotici.
Se la terapia non dovesse essere risolutiva, però, l’unica soluzione è l’amputazione dell’arto o della parte interessata, per preservare l’intero organismo. La mortalità è altissima, a causa della velocità di diffusione del batterio. Le infezioni da vibrio vulnificus sono aumentate di otto volte tra il 1988 e il 2018, come detto a causa dell’innalzamento della temperatura marina.
Tuttavia, il caso dell’uomo di Rieti curato e guarito all’ospedale Santa Maria di Terni per infezione da batterio mangiacarne rappresenta un’eccezionalità rimarchevole. Nazareno Conti, infatti, si sarebbe ammalato durante una passeggiata sul monte Terminillo a duemila metri d’altezza e non in prossimità di acque infette.
Il cinquantenne si era ferito al ginocchio dopo una banale caduta. Qualche giorno dopo la ferita aveva iniziato a putrefarsi, provocando una febbre molto alta. Il 20 agosto scorso è stato portato al pronto soccorso in fin di vita. Messo in coma farmacologico, è stato sottoposto a quattro interventi chirurgici. Le analisi hanno poi individuato la presenza del vibrio vulnificus, che avrebbe contagiato il Conti tramite contatto con gli escrementi di un animale infetto.