La Sindrome di Kessler, teorizzata dall’astrofisico Donald Kessler nel 1978, rappresenta una delle più temibili conseguenze dell’inquinamento spaziale. Si tratta di un fenomeno ipotetico in cui una collisione tra oggetti in orbita genera una nube di frammenti che a loro volta colpiscono altri satelliti, innescando una reazione a catena. Il risultato sarebbe una congestione orbitale tale da compromettere sia i satelliti esistenti che le future missioni spaziali.
Ad oggi, le collisioni in orbita non sono rare. Dal 1957, oltre 650 eventi di frammentazione hanno generato decine di migliaia di detriti tracciabili e milioni di oggetti troppo piccoli per essere rilevati. Ad esempio, nel 2009, una collisione tra un satellite russo inattivo e uno statunitense operativo ha creato circa 2.000 frammenti significativi. Ogni giorno, operatori satellitari ricevono decine di allarmi per possibili scontri, rendendo il monitoraggio orbitale un compito sempre più complesso.
La zona più affollata è l’orbita bassa terrestre, fino a circa 2.000 km di altitudine, dove si trovano sia satelliti commerciali come quelli di SpaceX che stazioni spaziali abitate. I detriti in questa regione rappresentano un rischio diretto per gli astronauti e per le tecnologie fondamentali per la nostra vita quotidiana, come GPS e telecomunicazioni. Sebbene l’atmosfera terrestre possa ripulire naturalmente questa zona in decenni, a quote più elevate i detriti possono persistere per secoli o millenni, complicando ulteriormente il problema.
L’impatto potenziale è devastante. Un’escalation di collisioni potrebbe rendere inaccessibile lo spazio per generazioni, bloccando progressi tecnologici e scientifici. Inoltre, anche i frammenti più piccoli, non tracciabili, possono causare gravi danni: un semplice chip di vernice può perforare metallo, come dimostrano impatti documentati su veicoli spaziali.
Mentre gli esperti non concordano sul fatto che la Sindrome di Kessler sia già iniziata, tutti sono d’accordo sull’urgenza di affrontare il problema. Soluzioni includono sviluppi tecnologici per il monitoraggio dei detriti più piccoli, normative internazionali più stringenti e tecniche di rimozione attiva dei rifiuti spaziali. Tuttavia, l’azione tempestiva è cruciale: ritardare potrebbe portare a danni economici e scientifici irreversibili.