Nel mondo della scienza, quando si dice che qualcuno ha “battuto” Einstein, è come dire che ha scalato l’Everest, non c’è dubbio si questo. Eppure, è proprio quello che è accaduto al Massachusetts Institute of Technology, dove due ricercatori hanno dimostrato che il grande fisico tedesco si sbagliava su uno degli esperimenti più celebri della fisica moderna.
La storia inizia nel 1927, quando Albert Einstein si trovò in disaccordo con il collega Niels Bohr sul famoso esperimento della doppia fenditura. Questo test, nato nel 1801 per studiare la natura della luce, è diventato il simbolo della stranezza del mondo quantistico. L’esperimento serve per capire se qualcosa sia una particella o un’onda (sì, nella fisica può essere determinante). E lo si fa guardando il comportamento di elettroni e luce, lanciati attraverso due fessure.
Einstein sosteneva che fosse possibile catturare contemporaneamente sia la natura ondulatoria che quella particellare della luce, mentre Bohr ribatteva che ciò violava i principi della meccanica quantistica. Tradotto in soldoni, per Einstein sarebbe stato possibile vedere la luce comportarsi come onda e particella allo stesso tempo.
Wolfgang Ketterle, premio Nobel e professore dell’MIT, insieme al suo team ha realizzato quella che definisce “la versione più idealizzata” dell’esperimento della doppia fenditura mai eseguita. Invece di utilizzare fenditure tradizionali, i ricercatori hanno usato singoli atomi come “porte” per la luce, creando condizioni così pure da permettere osservazioni impossibili ai tempi di Einstein e Bohr.
Il cuore dell’innovazione sta nella capacità di manipolare oltre 10.000 atomi, raffreddati a temperature vicine allo zero assoluto e disposti in una struttura cristallina perfetta. Ogni atomo è isolato dagli altri e può essere “sintonizzato” per modificare la sua “sfocatura” quantistica – ovvero quanto precisamente si conosce la sua posizione.

I risultati non lasciano spazio a dubbi. Ogni volta che un fotone “disturba” un atomo nel suo passaggio, l’interferenza ondulatoria diminuisce. Più informazioni si ottengono sul percorso della particella di luce, meno visibile diventa il pattern ondulatorio. È esattamente quello che prediceva la teoria quantistica di Bohr, contraddicendo l’intuizione di Einstein.
La vera sorpresa è arrivata quando i ricercatori hanno eliminato il supporto laser che teneva fermi gli atomi, lasciandoli fluttuare liberamente nello spazio per una frazione di secondo. Anche in queste condizioni “senza vincoli”, il fenomeno quantistico si è manifestato identico, dimostrando che non erano i supporti fisici a determinare il comportamento dual della luce, ma le correlazioni quantistiche profonde tra fotoni e atomi.
La precisione raggiunta dai ricercatori ha permesso di misurare fenomeni a livello atomico che confermano definitivamente la validità della meccanica quantistica. Il lavoro, pubblicato su Physical Review Letters, chiude un dibattito di 100 anni tra due giganti della scienza su come funziona davvero la realtà, dimostrando definitivamente che l’universo è molto più strano di quanto appaia: la luce può essere contemporaneamente onda e particella, ma non possiamo mai vederla in entrambi i modi insieme.
Questa scoperta apre la strada a tecnologie rivoluzionarie come computer quantistici superveloci e comunicazioni istantanee, mentre ci ricorda che sotto la superficie del mondo quotidiano si nasconde una realtà così bizzarra che nemmeno Einstein riusciva ad accettarla completamente.