Per decenni abbiamo creduto che il cervello funzionasse secondo una semplice regola, quella che vuole i neuroni attivarsi assieme, connettendosi tra loro. Questa idea, nota come apprendimento hebbiano, è stata la pietra angolare della neuroscienza ed è sicuramente parte del quadro generale. Ma oggi, un’importante scoperta pubblicata sulla rivista Science ci mostra un quadro molto più sofisticato. Studiando il cervello di topi durante un compito di apprendimento, i ricercatori hanno osservato, per la prima volta in vivo, che non tutte le sinapsi si comportano allo stesso modo. Alcune seguono effettivamente le regole hebbiane, ma molte altre no.
Il team della Stanford University ha utilizzato speciali biosensori fluorescenti per osservare l’attività sinaptica nel tempo, annotando come si modificano i singoli collegamenti tra neuroni durante l’apprendimento. Ebbene, i neuroni non applicano una strategia unica, ma adottano regole diverse in base alla posizione delle sinapsi. Le sinapsi situate sulla parte più esterna dei neuroni piramidali nella corteccia motoria si rafforzano quando sono attive in concomitanza con sinapsi vicine. Anche se il neurone ricevente non sta inviando segnali elettrici. Al contrario, le sinapsi più vicine al corpo cellulare si rafforzano solo se la loro attività coincide con quella del neurone ricevente.

Questa scoperta mette in discussione l’idea che il cervello sia governato da un principio uniforme di apprendimento. Anzi, dimostra che anche all’interno dello stesso neurone ci sono meccanismi distinti e specializzati. Le sinapsi apicali, le prime che abbiamo descritto, sembrano creare “cluster” funzionali capaci di integrare informazioni in modo non lineare, utile ad apprendere contesti complessi. Le sinapsi basali, invece, tendono a consolidare modelli ripetuti, favorendo il riconoscimento di schemi stabili e prevedibili. In sostanza il cervello agisce in maniera diversa a seconda del tipo di apprendimento che deve compiere.
Questi risultati possono avere ripercussioni terapeutiche e tecnologiche non indifferenti. Se i disturbi come la depressione dipendono dalla debolezza di certe connessioni sinaptiche, comprendere a fondo le regole di plasticità potrebbe aprire la strada a terapie più precise e personalizzate. Inoltre, i modelli di intelligenza artificiale ispirati al cervello umano, oggi ancora basati su regole di apprendimento uniformi, potrebbero diventare molto più efficienti se imitassero questa varietà di meccanismi sinaptici.