Per la prima volta, un dispositivo di stimolazione spinale ha permesso a tre adulti con atrofia muscolare spinale (SMA) di migliorare la loro forza e capacità motoria. Lo studio, condotto dalla University of Pittsburgh School of Medicine, da un team guidato dal nostro Marco Capogrosso, e pubblicato su Nature Medicine, dimostra che la neurostimolazione può riattivare neuroni motori compromessi, contrastando il deterioramento muscolare caratteristico della malattia. Questo progresso apre nuove prospettive nel trattamento delle malattie neurodegenerative, offrendo una speranza concreta a chi soffre di patologie finora considerate irreversibili.

L’atrofia muscolare spinale è una malattia genetica che provoca la progressiva degenerazione dei motoneuroni, causando debolezza muscolare e difficoltà nei movimenti. Sebbene negli ultimi anni siano stati sviluppati trattamenti farmacologici e terapie geniche in grado di rallentarne la progressione, nessuno di essi aveva finora dimostrato di poter ripristinare le funzioni motorie perse. Gli scienziati di Pittsburgh hanno quindi ipotizzato che la stimolazione del midollo spinale potesse compensare il deficit di attività neuronale e migliorare la comunicazione tra il sistema nervoso e i muscoli. Il dottor Marco Capogrosso, PhD, assistente professore di neurochirurgia al Pitt ha detto:
“Per contrastare la neurodegenerazione, abbiamo bisogno di due cose: fermare la morte dei neuroni e ripristinare la funzione dei neuroni sopravvissuti. In questo studio abbiamo proposto un approccio per trattare la causa principale della disfunzione neurale, integrando i trattamenti neuroprotettivi esistenti con un nuovo approccio che inverte la disfunzione delle cellule nervose“.
Lo studio ha coinvolto tre adulti con forme moderate di SMA (tipo 3 e 4), ai quali sono stati impiantati due elettrodi epidurali nella regione lombare del midollo spinale. Il trattamento è durato 29 giorni e ha previsto sessioni di stimolazione di quattro ore, cinque volte a settimana, per un totale di 19 sedute. Durante il periodo di studio, i ricercatori hanno monitorato vari parametri, tra cui forza muscolare, resistenza alla fatica, qualità del passo e distanza percorsa in sei minuti.
I risultati sono stati sorprendenti. Tutti i partecipanti hanno registrato un aumento significativo della forza muscolare (fino al 180%), un miglioramento della qualità del cammino con un incremento medio della lunghezza del passo del 40% e un aumento della distanza percorsa nel test dei sei minuti di circa 26 metri. Uno dei pazienti, che all’inizio dello studio non era in grado di alzarsi dalla posizione inginocchiata, ha riacquistato questa capacità entro la fine del trattamento. Inoltre, alcuni miglioramenti si sono mantenuti anche dopo lo spegnimento dello stimolatore, suggerendo che la stimolazione potrebbe avere effetti terapeutici a lungo termine.
Uno degli aspetti più innovativi dello studio è il meccanismo d’azione dell’impianto. La stimolazione elettrica non agisce direttamente sui muscoli, ma sui nervi sensoriali, che a loro volta riattivano i motoneuroni danneggiati. Questo approccio si distingue dai dispositivi neuroprostetici già esistenti, progettati per compensare la perdita di funzione piuttosto che per ripristinare le capacità motorie.
Gli scienziati ritengono che questa strategia potrebbe essere applicata anche ad altre malattie neurodegenerative, come la sclerosi laterale amiotrofica (SLA) e la malattia di Huntington, a patto di individuare i circuiti nervosi appropriati da stimolare.
Il prossimo passo sarà avviare studi più ampi per valutare la sicurezza e l’efficacia a lungo termine della stimolazione spinale nei pazienti con SMA e altre patologie neurologiche. Se confermata, questa tecnologia potrebbe rappresentare una svolta nel trattamento delle malattie neurodegenerative, fornendo ai pazienti non solo un miglioramento della qualità della vita, ma anche una speranza concreta di recupero funzionale.