Abbiamo sempre pensato alla memoria come a una funzione esclusiva del cervello, custodita gelosamente dai neuroni e dalle loro complesse reti sinaptiche. Ma una ricerca rivoluzionaria della New York University sta ribaltando questa certezza scientifica: anche cellule ordinarie del corpo umano, completamente estranee al sistema nervoso, possono imparare e conservare informazioni. Non stiamo parlando di neuroni specializzati, ma di semplici cellule renali.
Lo studio, condotto dal ricercatore Nikolay V. Kukushkin, dimostra che quando vengono esposte a segnali che imitano i ritmi dell’apprendimento cerebrale, queste cellule si comportano in modo sorprendentemente simile ai neuroni. Le loro risposte si rafforzano quando la stimolazione viene distribuita nel tempo, anziché essere somministrata tutta in una volta. “L’apprendimento e la memoria sono generalmente associati esclusivamente al cervello e alle cellule cerebrali, ma il nostro studio dimostra che anche altre cellule del corpo possono imparare e formare memorie“, ha dichiarato Kukushkin.
Questa scoperta suggerisce qualcosa di ancora più profondo: l’apprendimento potrebbe essere una proprietà fondamentale della vita stessa, integrata nel modo in cui tutte le cellule elaborano il tempo e le informazioni, non solo quelle del sistema nervoso.
Il cuore della ricerca si basa su un principio noto come effetto di spaziatura, descritto per la prima volta nel XIX secolo dallo psicologo Hermann Ebbinghaus. È il motivo per cui ricordiamo meglio quando studiamo a intervalli regolari piuttosto che concentrando tutto lo sforzo la sera prima dell’esame. Questo fenomeno è stato osservato in innumerevoli specie animali, dagli esseri umani alle lumache di mare, ma era sempre stato legato esclusivamente all’attività neurale.

Kukushkin e il suo team hanno voluto verificare se lo stesso principio potesse applicarsi oltre i confini del cervello. Per farlo, hanno utilizzato due tipi di cellule umane: uno derivato da tessuto nervoso e l’altro da cellule renali, che non hanno alcun ruolo nel sistema nervoso. Entrambe le tipologie sono state geneticamente modificate per produrre un segnale luminoso quando un “gene della memoria”, controllato dalla proteina CREB, si attivava.
La proteina CREB è un interruttore molecolare che aiuta i neuroni a consolidare la memoria a lungo termine, ma esiste praticamente in ogni cellula del corpo. L’esperimento consisteva nell’esporre le cellule a brevi impulsi di sostanze chimiche che imitano i segnali di apprendimento del cervello. Ogni impulso durava solo tre minuti e veniva somministrato in due modalità diverse: con pause regolari tra un impulso e l’altro, oppure tutti insieme in un’unica raffica continua.
I risultati sono stati sorprendenti. Quando gli impulsi erano distribuiti nel tempo, le cellule si illuminavano in modo più intenso e per periodi molto più lunghi. Il gene della memoria rimaneva attivo per ore dopo la fine della stimolazione, soprattutto quando gli impulsi erano distanziati di dieci minuti. Al contrario, quando la stessa quantità di stimolazione veniva somministrata tutta insieme, la luminosità svaniva rapidamente.
In un esperimento specifico, le cellule che avevano ricevuto quattro impulsi distanziati mostravano un’attivazione del gene controllato da CREB 2,8 volte più forte dopo 24 ore rispetto a quelle che avevano ricevuto un segnale continuo. Le cellule avevano riconosciuto e codificato uno schema temporale: la differenza tra segnali arrivati a intervalli e segnali arrivati tutti insieme. In altre parole, l’informazione che avevano immagazzinato era la struttura temporale della stimolazione, il ritmo o il tempismo degli impulsi chimici.
“Questo riflette l’effetto di spaziatura in azione“, ha spiegato Kukushkin. “Dimostra che la capacità di apprendere dalla ripetizione distanziata non è esclusiva delle cellule cerebrali, ma potrebbe essere una caratteristica basilare della funzione cellulare“. Ancora più significativo: i risultati erano identici sia per le cellule nervose che per quelle renali. Anche 24 ore dopo, la cellula “ricorda” come è stata stimolata, perché certi interruttori molecolari rimangono alterati.
“Crediamo che non sia una proprietà specifica di nessuno dei due tipi di cellule, ma semplicemente una proprietà generica di tutte le cellule“, ha dichiarato Kukushkin in un’intervista a IFLScience.
Questa ricerca apre scenari completamente nuovi nella comprensione della biologia umana. Suggerisce che il nostro corpo sia dotato di una forma di intelligenza distribuita, dove ogni cellula contribuisce a un sistema di memoria collettiva che va ben oltre i confini del cranio. Non siamo più solo ciò che il nostro cervello ricorda, ma ciò che ogni singola cellula del nostro corpo ha imparato dall’esperienza.