Ogni forma di vita, dalle piante ai batteri, dai funghi agli animali, utilizza lo stesso alfabeto genetico. 20 lettere che servono per costruire le proteine e la stessa “benzina”, l’ATP. Ma com’è nato questo codice universale? Oggi, grazie a un nuovo studio pubblicato su Nature Ecology & Evolution, è possibile dare una risposta concreta. L’antenato comune di tutta la vita sulla Terra – LUCA – non è più solo un’ipotesi teorica.
LUCA, acronimo di Last Universal Common Ancestor, visse circa 4,2 miliardi di anni fa, pochi milioni di anni dopo la formazione del nostro pianeta. Secondo lo studio guidato dall’Università di Bristol, questo organismo primordiale non era un’entità primitiva e passiva, ma un essere vivente sorprendentemente complesso, dotato di un genoma da 2.600 geni e una capacità metabolica avanzata. Insomma, non un semplice aggregato cellulare dipendente dall’ambiente come si era sempre creduto, ma un organismo autosufficiente, capace di riparare il proprio DNA, trasportare nutrienti attraverso membrane e produrre energia chimica da anidride carbonica e idrogeno.

Questa capacità energetica si basava sul cosiddetto ciclo di Wood–Ljungdahl, una via metabolica ancora presente in alcuni microbi moderni, che trasforma l’anidride carbonica in acetato, generando energia sfruttabile. Si tratta di un meccanismo perfettamente compatibile con gli ambienti ricchi di metalli e calore delle sorgenti idrotermali del fondale oceanico, che oggi è considerato tra i più probabili scenari per l’origine della vita.
Addirittura si pensa che LUCA possedesse una forma primitiva di “sistema immunitario”, necessaria per sopravvivere a frequenti attacchi virali. Questo dato cambia profondamente la narrazione dell’origine della vita. Non si trattava di un processo lento e lineare, ma di un salto evolutivo rapido, competitivo e già biochimicamente avanzato.
Lo studio si basa su un approccio multidisciplinare che ha integrato biologia evolutiva, genomica, geochimica e paleontologia. I ricercatori hanno analizzato migliaia di genomi di batteri, risalendo attraverso modelli filogenetici complessi alle radici comuni di questi due domini della vita. Il risultato: un genoma coerente, stabile e altamente funzionale, simile a quello dei moderni procarioti. Un risultato sorprendente, che ha implicazioni anche al di fuori del nostro pianeta.
Se la vita sulla Terra ha avuto uno sviluppo così rapido e articolato, non è escluso che fenomeni simili possano essersi verificati anche su pianeti con condizioni analoghe.