Per anni gli astronomi hanno cercato tracce di una misteriosa categoria di buchi neri: quelli di massa intermedia. Più grandi dei classici buchi neri stellari, ma troppo piccoli per essere definiti supermassicci, questi oggetti rappresentavano un enigma. Ora, un team internazionale di ricercatori ha individuato nuovi segnali che potrebbero finalmente riempire questo vuoto cosmico. Grazie all’analisi di undici eventi di onde gravitazionali registrati dai rilevatori LIGO, Virgo e KAGRA, è emersa la presenza di ben cinque buchi neri finora sfuggiti, appartenenti proprio a questa categoria “intermedia”.
Gli strumenti utilizzati, noti per aver già rilevato oltre cento eventi di onde gravitazionali, hanno catturato segnali che corrispondono alla fusione di coppie di buchi neri. Alcuni di questi eventi, come GW170502 e GW190521, avevano già lasciato intuire qualcosa di speciale. Tuttavia, solo con l’uso di modelli matematici avanzati e tecniche di inferenza statistica chiamate RIFT, è stato possibile stimare con alta precisione la massa dei buchi neri prima e dopo la fusione. I risultati sono sorprendenti: cinque degli oggetti post-fusione superano abbondantemente le 100 masse solari, raggiungendo in alcuni casi le 350 masse solari, una fascia considerata finora difficile da osservare con sicurezza.

Una scoperta ancora più significativa riguarda uno dei buchi neri coinvolti nella fusione, che sembra appartenere a un intervallo di massa – tra 60 e 120 masse solari – considerato proibito dalla teoria delle supernove. Questo intervallo, chiamato “mass gap”, è considerato instabile. Si riteneva che le stelle non potessero generare buchi neri in quella fascia. La presenza di un oggetto in quella zona rende la scoperta ancora più affascinante e mette in discussione alcune certezze sulla fine della vita stellare.
Queste scoperte sono state affiancate da un’altra ricerca condotta dalla Vanderbilt University, che ha confermato la presenza di buchi neri intermedi analizzando gli stessi dati. La ricerca apre nuove prospettive: gli IMBH potrebbero essere il “ponte mancante” tra i buchi neri stellari, nati dal collasso delle stelle, e i buchi neri supermassicci che si trovano al centro delle galassie.
Il futuro della ricerca su questi oggetti è promettente. Gli attuali rilevatori terrestri come LIGO e Virgo riescono a captare soltanto le fasi finali della fusione. Tuttavia, con la missione LISA, un osservatorio spaziale europeo previsto per gli anni 2030, sarà possibile osservare l’intero processo di avvicinamento tra buchi neri anche per anni, ampliando notevolmente le conoscenze su origine ed evoluzione di questi oggetti. A lungo termine, si ipotizza perfino la costruzione di un osservatorio di onde gravitazionali sulla Luna, che potrebbe offrire condizioni ideali per captare segnali deboli e lontani, come quelli prodotti da buchi neri di massa intermedia.
Infine, gli scienziati coinvolti sottolineano come questa scoperta rappresenti non solo un traguardo astrofisico, ma anche un’opportunità formativa per le nuove generazioni. I prossimi anni potrebbero segnare una rivoluzione nello studio del cosmo, dove i buchi neri – un tempo invisibili – diventeranno strumenti chiave per comprendere la storia dell’Universo.