Il cervello conserva traccia della nostra risposta fisica al freddo. Lo fa principalmente per prepararsi in anticipo alle sfide termiche e attivare la produzione di calore quando serve. Lo ha scoperto un team di ricercatori del Trinity College di Dublino e della Princeton University, in uno studio pubblicato su Nature. Secondo gli scienziati, quando siamo esposti a temperature rigide, il nostro cervello forma dei “ricordi fisici” associati al freddo. Questi ricordi non si limitano a immagini o emozioni, ma sono veri e propri engrammi. Gli engrammi sono gruppi di cellule nervose che registrano e immagazzinano l’esperienza corporea. I ricercatori hanno condizionato dei topi a collegare uno specifico ambiente al freddo (4°C), mostrando loro particolari segnali visivi. Anche una volta tornati a temperatura ambiente, il solo vedere quegli stimoli faceva aumentare il loro metabolismo, come se si preparassero ad affrontare il freddo imminente.

Questo meccanismo è definito termogenesi predittiva. Il corpo, basandosi su ricordi passati, si attiva preventivamente per produrre calore. Non si tratta di una reazione immediata all’ambiente, ma di una risposta appresa e anticipatoria. Gli scienziati hanno localizzato gli engrammi della memoria del freddo nell’ippocampo, la sede cerebrale deputata alla memoria, e hanno osservato che, quando questi circuiti venivano riattivati artificialmente, le cavie aumentavano il metabolismo e producevano più calore, anche senza una reale esposizione al freddo.
La memoria del freddo non agisce da sola: durante il richiamo di queste memorie, l’ippocampo comunica con l’ipotalamo, centro di regolazione termica, che a sua volta attiva il tessuto adiposo bruno. Questo tipo di grasso è specializzato nel generare calore senza bisogno di brividi, attraverso un processo noto come termogenesi non brivido-indotta. In sostanza, il cervello non solo ricorda il freddo, ma organizza una vera risposta fisiologica per fronteggiarlo in anticipo, conservando energia e proteggendo l’organismo.
Queste scoperte suggeriscono che il cervello e il corpo lavorano in stretta collaborazione per mantenere la stabilità interna (omeostasi) e che la memoria può influenzare direttamente il metabolismo.