Una nuova terapia potrebbe rappresentare una svolta nella cura dell’Alzheimer, ritardando l’insorgenza della malattia nelle persone predisposte. Uno studio americano condotto su un gruppo di individui con una rara mutazione genetica ha mostrato che un farmaco anti-amiloide, se assunto precocemente e per un periodo prolungato, può ridurre significativamente il rischio di sviluppare i sintomi. Sebbene i risultati siano promettenti, la ricerca necessita di ulteriori conferme e rischia di essere interrotta per mancanza di fondi.
Per decenni, la ricerca sull’Alzheimer si è concentrata sulla rimozione delle placche di beta-amiloide dal cervello, una caratteristica distintiva della malattia. Tuttavia, molti farmaci sperimentali non hanno dimostrato un’efficacia clinica significativa. Gantenerumab, un anticorpo monoclonale, ha inizialmente fallito nei test su larga scala, ma uno studio successivo ha suggerito che, se somministrato prima dell’insorgenza dei sintomi e per un periodo prolungato, potrebbe avere effetti positivi.

La ricerca, pubblicata su Lancet Neurology, ha analizzato 73 partecipanti con mutazioni genetiche legate all’Alzheimer ereditario. Tra questi, 22 individui che avevano assunto il farmaco per circa otto anni hanno mostrato una riduzione del rischio di sviluppare sintomi fino al 50%. Tuttavia, il disegno dello studio, privo di un gruppo di controllo con placebo nella fase di estensione, rende necessaria una certa cautela nell’interpretazione dei dati.
In linea generale i risultati sono stati incoraggianti, ma la ricerca è a rischio. Il finanziamento dello studio, iniziato nel 2008, potrebbe non essere rinnovato, mettendo a repentaglio la continuità del trattamento per i partecipanti. Gli esperti sottolineano l’importanza di mantenere il monitoraggio di questi pazienti per comprendere la reale efficacia del farmaco e verificare se l’effetto protettivo si mantiene nel tempo.