Vi sarà capitato di sentire in giro di qualcuno che da anni non smette di assumere un determinato farmaco perché lo fa “stare meglio”. Quando assistiamo a questo fenomeno, la persona ha paura del rebound del farmaco: con questo termine intendiamo la ricomparsa improvvisa di sintomi, veri o presunti, che il farmaco in questione era riuscito a far sparire.
Negli ultimi giorni, il cantante Fedez ne ha dato testimonianza sui social, parlando di tutti gli effetti che ha ottenuto dopo aver sospeso uno psicofarmaco che utilizzava tempo prima. Ed è proprio qui che l’effetto rebound è più presente, ovvero nelle persone che usano psicofarmaci.
Gli psicofarmaci, prescritti negli ultimi anni con molta facilità, forniscono alla persona che ne fa uso un prezioso “controllante”: l’individuo sta meglio, ma temporaneamente. Infatti, accade spesso che, smessa la cura farmacologica, alcuni sintomi ricompaiano. E il paziente non sempre sa gestirli.
Ma basta davvero la sola questione della dipendenza per giustificare il rebound? No. O almeno non soltanto.
I problemi e i conflitti, spesso derivati da una profonda e non adeguatamente osservata depressione, si ingigantiscono e si cerca la soluzione più facile: prendo una pillola e ci penserà lei a tutto.
La strategia migliore resta un calo progressivo dell’utilizzo del farmaco in questione e una buona psicoterapia perché il corpo ci dice ciò che la mente rifiuta di ascoltare. Come, ad esempio, l’invidia verso una partner più famosa o in gamba di noi.
(Francesco Marzano è psicologo, psicoterapeuta e psicodrammatista, si occupa di rapporti tra psicologia e cinema e dell’impatto sugli spettatori.)