Colpa d’Alfredo è la title track dell’omonimo album pubblicato da Vasco Rossi nel 1980, e racconta, con stile diretto e semplice, una vicenda autobiografica del cantautore che, una sera, in discoteca, per colpa dell’amico Alfredo – che nella realtà era Andrea Giacobazzi – si lascia sfuggire l’occasione di una conquista galante. L’io narrante si strugge per l’occasione mancata, maledicendo “l’africano con la macchina” che gli ha soffiato la ragazza su cui aveva puntato.
“Raccontavo a Massimino (Riva, storico chitarrista e amico di Vasco, ndr), che era sempre a casa mia, l’avventura che mi era capitata la sera prima al Terminal, il locale dove lavoravo.
Tra le chiacchiere con un mio amico che veniva tutte le sere a trovarmi e la mia passione per i videogame, avevo perso un’occasione.
Dovevo accompagnare a casa una tipa, con la quale ero già d’accordo, ma mentre io perdevo tempo con “Alfredo” lei aveva incontrato uno e se n’era andata con lui (si chiamava Santino, era molto carino e non era nero!)
Parlando e strimpellando la chitarra esageravo con le immagini e intanto nasceva la canzone! Alfredo esiste davvero… non si chiama cosi, lo vedo ancora e non ha perso il vizio di parlare!”
[Vasco Rossi, Le mie canzoni, Mondadori]
Dietro “Alfredo”, come più volte dichiarato anche dal diretto interessato, si cela l’identità di Andrea Giacobazzi, storico amico di Vasco, morto nel 2024. in particolare, in quella famosa serata, il cantautore avrebbe perso la sua occasione mentre era impegnato a giocare a Space Invaders. Il linguaggio della canzone è crudo, elementare, e Vasco, durante un’incontro con i fan a Castellaneta nel 2017, ha ben spiegato i motivi di una scelta lessicale all’epoca decisamente controcorrente, anche per l’uso libero del turpiloquio.
“Oggi vi voglio parlare di una canzone: “Colpa d’Alfredo”. Canzone molto di rottura che, anche per quel periodo lì, era molto provocatoria. Avevo già cominciato a fare il “provocautore”: le mie canzoni sono sempre state un po’ delle provocazioni, però questa era particolarmente dura, cruda e nuda.
Era praticamente il linguaggio del parlato normale, di come noi parliamo normalmente, portato dentro la canzone. Praticamente, voi sapete, fino a quei tempi lì non si potevano dire certe cose. Era un po’ come dire: “In certe cose artistiche, non si può parlare in un certo modo”.
Ecco, io invece volevo proprio arrivare a parlare come si parla normalmente. Questa canzone è la versione romagnola de “La febbre del sabato sera”, capito? Quella più ruspante e, secondo me, quella più vera”
In questo senso, ricorda Vasco, la musica va a braccetto con il testo, sottolineando ancora di più le emozioni veicolate dalle parole: “Anche la stesura della canzone, la musica in pratica, nasce proprio dal modo di parlare. Se io ve la recito, infatti, vi accorgerete che la musica è nata da come si parla. [Il riff di chitarra dopo il verso ‘Lo uccido] praticamente è la continuazione del testo con l’arrangiamento. In pratica questa botta di chitarra è proprio: “Lo uccido!“.