Jumanji non è solo il nome di un gioco mortale o di una serie di film avventurosi, è un concetto che intreccia magia, crescita personale e sfide al confine tra realtà e fantasia. Si tratta di una parola zulu che significa “molti effetti” e allude alle conseguenze imprevedibili e straordinarie che il gioco scatena. Il termine è stato introdotto al mondo da Chris Van Allsburg nel suo libro per bambini, che ha ispirato l’iconico film del 1995. La trama segue Alan Parrish, interpretato da Robin Williams, un uomo intrappolato per 26 anni nel gioco. Quando viene liberato, deve aiutare i nuovi giocatori a completare il gioco e a ripristinare la normalità. Missione molto difficile se si pensa che ogni turno provoca eventi straordinari e pericolosi che sconvolgono la realtà, con apparizione di animali selvaggi, disastri naturali e sfide che i giocatori devono affrontare per sopravvivere.
La storia è diventata un classico e ha avuto un reboot del 2017 “Jumanji: Benvenuti nella giungla” e un sequel “Jumanji: The Next Level”. In queste versioni, il gioco si trasforma in un videogioco, portando i giocatori in un mondo virtuale.
Oltre ai film e al libro originale, il termine Jumanji viene spesso usato per descrivere situazioni caotiche o imprevedibili. Nello slang anglosassone, infatti, la parola si usa per descrivere una pratica da pub. Nello Jumanji, infatti, ci si unisce a un gruppo di persone obbligate a bere birra solo dalla loro mano non dominante. In caso contrario, la persona pizzicata a barare viene smascherata dall’urlo “Jumanji!” gridato dall’avversario. Una volta sgamata, dovrà finire l’intera bevanda sul posto.