Il poliziottesco era un genere di grande diffusione negli anni ’70 incentrato su storie che vedevano come protagonisti dei poliziotti dai modi spiccioli, ai limiti della legalità. La stortura del nome, non poliziesco, ma poliziottesco appunto, allude a un modo molto “italiano” di raccontare queste vicende, ispirate alla cronaca nera dell’epoca, intrise di violenza, anche molto esplicita, con pochissime figure femminili di rilievo.
Nato sul finire degli anni ’60 come riflessione su una società che dopo il Boom stava lentamente involvendo, lasciando spazio a bande criminali di varia estrazione e alla lotta armata, è però negli anni ’70 che trova il suo punto massimo. In particolare con La polizia incrimina, la legge assolve di Enzo G. Castellari del 1973. Poi, negli anni ’80 il genere implose, svanendo quasi del tutto. Con l’arrivo di Quentin Tarantino sulla scena cinematografica, però, il poliziottesco trovò nuovi estimatori. Il regista è un grande fan dei cosiddetti b-movies e un sincero fan di autori “minori” come Fernando Di Leo, Enzo G. Castellari, Umberto Lenzi, Bruno Corbucci, Stelvio Massi e tanti altri.
Nel poliziottesco a essere protagonista assoluto è il commissario. L’uomo che per far applicare la legge è disposto anche a passarci sopra, anarchico e un po’ misogino. Tra gli interpreti più amati dell’eroe c’è sicuramente il compianto Maurizio Merli, protagonista di un cult assoluto come Roma a mano armata. E della cosiddetta Trilogia del commissario Betti (Roma violenta, Napoli violenta e Italia a mano armata). Ma dobbiamo anche citare Franco Gasparri, ovvero Mark il poliziotto. E Luc Merenda, Franco Nero e, dulcis in fundo, anche Mario Merola.
Indimenticabili anche i villain, i violentissimi antagonisti dei “buoni”. Tra loro, Tomas Milian, John Saxon, Ivan Rassimov.
I temi, dunque, erano semplici e riconoscibili: la lotta alla criminalità, allo spaccio di droga, vero spauracchio degli anni ’70 e ’80, e al terrorismo.
Snobbati dalla critica, amatissimi dal pubblico, i poliziotteschi avevano colonne sonore ancora di culto, per lo più firmate dai fratelli De Angelis, Franco Micalizzi, e anche Ennio Morricone (Milano odia: La polizia non può sparare).