Venezia, estate 1932. La città lagunare, già culla di bellezza e arte secolare, si prepara ad accogliere un evento destinato a entrare nella storia: la prima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Sullo sfondo, l’Italia fascista di Benito Mussolini, che riconosce subito nel cinema un potente strumento di propaganda. Tra ambizioni artistiche, manipolazioni politiche e grandi svolte culturali, la storia del Festival di Venezia è quella di un evento che ha saputo attraversare la tempesta del Novecento per affermarsi come uno dei pilastri della cultura cinematografica mondiale.
L’idea di una mostra dedicata al cinema nasce all’interno del contesto più ampio della Biennale di Venezia, già celebre per le sue esposizioni d’arte. È il conte Giuseppe Volpi di Misurata, imprenditore e politico vicino al regime, a volere fortemente un festival che dia lustro all’Italia e alla nuova arte del Novecento: il cinema.
Accanto a lui, figure come Luciano De Feo, giornalista e promotore culturale, e Antonio Maraini, segretario generale della Biennale, gettano le basi per un progetto che ha ambizioni internazionali fin dall’inizio. Il 6 agosto 1932, nella terrazza dell’Hotel Excelsior al Lido, si apre ufficialmente la prima edizione della Mostra. Non è ancora una competizione: si tratta di una rassegna che ospita proiezioni di film provenienti da nove paesi, tra cui Stati Uniti, Francia, Germania e l’Unione Sovietica. In cartellone: capolavori come Frankenstein di James Whale (con un leggendario Boris Karloff), Dr. Jekyll and Mr. Hyde e Grand Hotel.

Il pubblico accorre numeroso. Il successo è immediato. Il fascismo comprende rapidamente le potenzialità del mezzo cinematografico. Già nel 1934, la Mostra diventa ufficialmente competitiva. Viene introdotto un premio: la Coppa Mussolini, assegnata al miglior film italiano e al miglior film straniero. Da quel momento, il festival diventa anche un veicolo per rafforzare l’immagine del regime all’estero e per promuovere un’idea di cultura italiana “moderna e potente”.
Durante questi anni, i criteri di selezione e premi spesso riflettono le esigenze propagandistiche del regime. Opere troppo sovversive o critiche verso la società vengono escluse. Il festival è sempre più controllato e indirizzato dall’alto, e diventa uno strumento dell’”imperialismo culturale” fascista, in linea con la retorica del Ventennio.
Il cinema italiano dell’epoca — spesso prodotto o supervisionato dagli apparati del regime — gode di un trattamento privilegiato. Tra i vincitori della Coppa Mussolini ci sono pellicole come Luciano Serra, pilota (1938), che esalta l’eroismo militare, o Scipione l’Africano, film simbolo dell’espansionismo coloniale.
Con l’avvicinarsi della Seconda Guerra Mondiale, la Mostra perde progressivamente la sua dimensione internazionale. Tra il 1940 e il 1942 si tengono alcune edizioni a San Rossore (in Toscana) e poi a Venezia, ma con una partecipazione limitata a nazioni dell’Asse (Germania, Italia, Giappone).
Dal 1943 al 1945, il festival viene interrotto del tutto. L’Europa è in guerra, e Venezia, come il resto dell’Italia, è sconvolta dagli eventi bellici. Nel 1946, con la fine del conflitto e la caduta del fascismo, la Mostra rinasce. È un nuovo inizio, carico di speranze. Sparisce la Coppa Mussolini e viene istituito il nuovo premio: il Leone d’Oro, ispirato al simbolo millenario di Venezia. Il festival ritrova la sua vocazione internazionale e si apre a una pluralità di voci e linguaggi.

Negli anni ’50 e ’60, la Mostra vive la sua età d’oro. Passano dal Lido nomi che diventeranno leggendari: Fellini, Visconti, Antonioni, De Sica, Rossellini, insieme ai grandi maestri del cinema mondiale come Kurosawa, Bergman, Truffaut, Wajda. È in questo periodo che il festival si afferma definitivamente come uno dei tre grandi eventi cinematografici europei, insieme a Cannes e Berlino.
Ma la parabola ascendente subisce una brusca frenata negli anni ’70. L’Italia è attraversata dalle tensioni sociali e politiche del Sessantotto, e il festival viene duramente contestato da cineasti, studenti e movimenti culturali. Si accusa la Mostra di essere ancora elitaria, conservatrice, distante dal fermento culturale che agita la società.
Tra il 1969 e il 1979, la Mostra rinuncia alla competizione: per quasi un decennio non vengono assegnati premi ufficiali. È un periodo sperimentale e turbolento, in cui si cerca di ridefinire l’identità del festival in un’epoca di cambiamento.
È solo negli anni ’80, grazie alla direzione di Carlo Lizzani e poi Guglielmo Biraghi, che la Mostra torna pienamente operativa come festival competitivo. L’introduzione di nuove sezioni, l’apertura al cinema indipendente, il coinvolgimento di giovani autori e la valorizzazione dei nuovi linguaggi audiovisivi contribuiscono a restituire vitalità all’evento.
Negli anni 2000, sotto la direzione di personalità come Marco Müller e Alberto Barbera, Venezia riconquista prestigio internazionale. Titoli premiati come The Wrestler di Darren Aronofsky, The Shape of Water di Guillermo del Toro, Roma di Alfonso Cuarón o Nomadland di Chloé Zhao dimostrano la capacità del festival di intercettare le grandi narrazioni contemporanee e anticipare i successi degli Oscar.

Oggi, la Mostra del Cinema di Venezia è un punto di riferimento globale. Non è più soltanto un evento di gala, ma un osservatorio privilegiato sulla società, la politica e le trasformazioni culturali del nostro tempo. Dalla crisi climatica alle questioni di genere, dalla memoria storica alle nuove tecnologie, il cinema che passa da Venezia parla sempre più un linguaggio universale e inclusivo.
Pur avendo avuto un’origine legata al regime fascista, la Mostra ha saputo trasformarsi radicalmente, diventando un emblema della libertà artistica e dell’apertura culturale. Un luogo dove le storie si incontrano, si confrontano, e — a volte — cambiano il mondo.
Dal salone dell’Excelsior del 1932 alle piattaforme streaming del XXI secolo, la Mostra del Cinema di Venezia ha attraversato regimi, guerre, rivoluzioni artistiche e digitali. Ha conosciuto crisi, interruzioni, rinascite. Ma è sempre rimasta, come la città che la ospita, un ponte tra passato e futuro, tra arte e politica, tra bellezza e verità.