Agostino Di Bartolomei è stato uno dei centrocampisti più talentuosi della sua epoca. Ha legato il suo nome alla Roma, dove vinse uno scudetto nel 1983 e al Milan, in cui militò fino al 1987. Si tolse la vita la mattina del 30 maggio del 1994 a San Marco, frazione di Castellabate, piccolo centro del Salernitano dove viveva. A lui Paolo Sorrentino si ispirò per il personaggio di Antonio Pisapia, il geniale calciatore protagonista di L’uomo in più, interpretato da Andrea Renzi.
Agostino Di Bartolomei nasce a Roma l’8 aprile del 1955. Come molti colleghi inizia a tirare i primi calci al pallone da bambino, sui campetti del suo quartiere, a Tor Marancia. A soli 13 anni attira l’attenzione degli osservatori del Milan, ma rifiuta di trasferirsi lontano dalla famiglia. Inizia quindi le trafile nel vivaio della Roma. Fino a esordire in Serie A il 22 aprile 1973. La stagione successiva segna la prima rete nel massimo campionato contro il Bologna. Ha appena 19 anni.
Dopo un breve trasferimento al Vicenza nel ’75, torna in giallorosso dove si afferma definitivamente per la sua grande intelligenza tattica. Della squadra capitolina diventa anche capitano. La porta alla vittoria del secondo scudetto nella sua storia nel campionato ’82-’83. Nel 1984, si consuma un piccolo grande dramma sportivo per la formazione di Liedholm, ovvero la finale di Coppa dei Campioni persa ai rigori contro il Liverpool, proprio allo stadio Olimpico. È il 30 maggio 1984, una data terribile per Di Bartolomei che si suicida, dieci anni dopo, lo stesso giorno.
Si ritira dal calcio nel 1990 e nello stesso anno fa l’opinionista in Rai in occasione dei Mondiali di calcio. Decide di vivere a Castellabate, paese d’origine della moglie Marisa, con cui ha un figlio, Luca, giornalista sportivo. Schivo e sempre lontano dai riflettori, Di Bartolomei infonde questa sua etica del calcio ai ragazzi della sua scuola. “A me piacerebbe che i ragazzini imparassero da piccoli ad amare il calcio, ma non prendendo a modello alcuni dei miei capricciosi colleghi“, dice.
La sua vita si ferma in una mattina di maggio del 1994. Esce di buon ora, lasciando moglie e figlio a riposare. Luca va poi a scuola, lo saluta. Al suo ritorno, scopre che il papà si è sparato un colpo di pistola al petto. Lascerà un biglietto in cui è scritto: “Mi sento chiuso in un buco“.