Era il 19 luglio del 1996 quando Muhammad Ali, la leggenda della boxe americana, accese il braciere olimpico ai Giochi Olimpici. Ali mostrava già i segni della malattia che lo avrebbe accompagnato per gli ultimi anni di vita. In quel momento Ali era un uomo debole e malato, ma fu comunque gigantesco, in quel frangente. Proprio Atlanta divenne il teatro di un atto di scuse collettivo: la consegna di una nuova medaglia d’oro in sostituzione di quella vinta ai Giochi di Roma ’60.
Anche se qualcuno non credette alla storia, Ali raccontò nella sua biografia che la prima medaglia fu gettata dal Jefferson Bridge a St. Louis sempre nello stesso anno, dopo un’aggressione razzista.
Ali, che all’epoca si chiamava ancora Cassius Clay, entrò in un ristorante interdetto agli afroamericani con il suo amico Ronnie King. Quando la cameriera gli disse che non era autorizzata a servirli, Ali rispose di essere il campione olimpico, sventolando la medaglia che portava sempre con sé. Il proprietario non retrocesse di un millimetro, ma Ali era Ali così scattò la rissa. Poco dopo, ancora sporco di sangue, lanciò la sua medaglia d’oro nel Mississippi. Dirà nel libro:
“La mia luna di miele olimpica era finita con tutte le sue illusioni. Così per la prima volta guardai la medaglia d’oro solo come un oggetto e la lanciai nel fiume e subito mi sentii calmo e rilassato, cosciente del fatto che le mie vacanze romane erano finite e già bisognoso di una nuova forza segreta“.
Così, il 4 agosto 1996, nell’intervallo della finale del torneo di basket tra USA ed ex-Jugoslavia, il Comitato Olimpico Internazionale “premiò” Ali con una replica della sua medaglia d’oro. Il pugile la strinse a sé, dandole un bacio.
Con la cerimonia di Atlanta, Ali risposò le Olimpiadi. E che avesse un rapporto speciale con le Olimpiadi lo confermò qualche anno dopo, nel 2012, quando presenziò ai Giochi di Londra. Portando la bandiera olimpica alla cerimonia d’apertura, nonostante i problemi fisici. Venne infatti assistito da sua moglie Lonnie.