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Home » Sport » Perché il pallone da calcio degli anni ’70 aveva i pentagoni neri? Non fu solo una scelta estetica

Perché il pallone da calcio degli anni ’70 aveva i pentagoni neri? Non fu solo una scelta estetica

Ecco perché i palloni da calcio avevano quella forma, una scelta per la TV in bianco e nero che ha fatto la storia dello sport.
Francesca FiorentinoDi Francesca Fiorentino25 Giugno 2025
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Il Telstar di Messico 70
Il Telstar di Messico '70 (fonte: Fifa)
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Chiunque abbia mai visto una partita di calcio negli anni ’70, ’80 o ’90 ricorda quel classico pallone con esagoni bianchi e pentagoni neri. Quella foggia così particolare, diventata davvero di culto, nacque per una combinazione di ragioni tecniche, storiche e mediatiche.

I primi palloni da calcio, utilizzati fin dai tempi antichi, erano ben diversi da quelli attuali. Nell’antica Cina, durante il gioco del cuju, si usavano sfere imbottite di piume, mentre nell’Inghilterra medievale si impiegavano persino bottiglie di vino rivestite di cuoio e riempite di sughero. Fu solo nel 1844 che Charles Goodyear, noto per l’invenzione della gomma vulcanizzata, brevettò il primo pallone in gomma, rivoluzionando il modo di costruire le sfere da gioco. Nel 1855, Goodyear realizzò il primo pallone in gomma vulcanizzata, mentre nel 1862 H.J. Lindon inventò la camera d’aria gonfiabile, rendendo il pallone più resistente e maneggevole.

Negli anni ’50, la standardizzazione cromatica portò all’uso dei palloni bianchi, ottenuti sbiancando il cuoio naturale per migliorarne la visibilità in campo. In inverno, si ricorse anche a palloni arancioni, più visibili sulla neve o con scarsa illuminazione.

Il design a pannelli bianchi ed esagoni neri fece la sua comparsa nel 1970, in occasione della Coppa del Mondo FIFA in Messico (sì, quella della partita del secolo Italia-Germania 4-3). Il modello si chiamava Adidas Telstar e rappresentò un salto innovativo: per la prima volta, il pallone venne pensato anche per la visibilità televisiva. All’epoca, le trasmissioni avvenivano principalmente in bianco e nero, e un pallone monocromatico risultava difficile da distinguere sul campo. L’alternanza di pentagoni neri e esagoni bianchi creava un contrasto visivo che lo rendeva più riconoscibile sullo schermo, aiutando spettatori e telecronisti a seguirne il movimento.

Italia-Germania 4-3
Italia-Germania 4-3 (fonte: Il Sole 24 ore)

Il Telstar era composto da 32 pannelli: 20 esagoni bianchi e 12 pentagoni neri, cuciti insieme in una struttura nota come buckyball, una sfera quasi perfetta. Questo design non solo migliorava la visibilità, ma offriva anche un rimbalzo più uniforme e maggiore precisione nel controllo. Per i giocatori, inoltre, i riquadri neri aiutavano a percepire meglio la rotazione e la traiettoria della palla, favorendo il miglioramento delle tecniche di tiro a effetto.

Adidas mantenne il design in bianco e nero fino ai Mondiali del 2002. Con l’evoluzione tecnologica e l’avvento delle trasmissioni a colori ad alta definizione, il contrasto cromatico non era più necessario. Nei Mondiali del 2006 (Teamgeist) e del 2010 (Jabulani), i palloni divennero più stilizzati e composti da un numero inferiore di pannelli: 14 e 8, rispettivamente, grazie all’impiego di nuovi materiali sintetici e tecnologie di saldatura.

Oggi i palloni sono oggetti di alta ingegneria sportiva. Agli Europei del 2024, per esempio, si è usato il Fussaballliebe, un pallone super tecnologico (sempre firmato da Adidas) che “smascherava” i gol irregolari. Ma l’immagine classica del Telstar resta impressa nella memoria collettiva. Un semplice accorgimento grafico, nato per esigenze televisive, ha segnato un’epoca e ridefinito l’identità visiva del calcio nel mondo.

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