Ci sono dei momenti nella storia che segnano uno spartiacque. L’esibizione alle parallele asimmetriche di Nadia Comaneci ai Giochi Olimpici di Montreal ’76 fu uno di questi. La ginnasta rumena, infatti, totalizzò il primo 10 perfetto della storia olimpica. Un punteggio massimo che replicò altre sei volte durante quell’edizione. vincendo tre medaglie d’oro (concorso generale individuale, trave e parallele asimmetriche), una d’argento (concorso generale a squadre) e una di bronzo (corpo libero).
Aveva solo 14 anni e fece un’esibizione da manuale. La possibilità di prendere 10 era considerata talmente remota dagli organizzatori, da non aver considerato la doppia cifra del 10 sul tabellone elettronico, ipotizzando un massimo di 9.95. Così, al termine dell’esercizio, il computer segnò 1,00.
Quell’edizione dei Giochi fu evidentemente toccata dalla grazia, visto che dopo Comaneci un’altra ginnasta arrivò al 10, la sovietica Nelli Kim. La cui impresa, però, fu ridimensionata solo per una questione temporale. Se si fosse esibita lei per prima, probabilmente il primo 10 perfetto olimpico sarebbe stato assegnato all’U.R.S.S.
Eppure, quello di Comaneci resta ancora oggi un capolavoro di grazia, eleganza e forza. In un’intervista concessa a Olympics.com ha spiegato:
“Tutti dovevano fare la stessa routine seguendo le regole. E io ho pensato, ‘Cosa significa “migliore”, se tutti fanno la stessa cosa… Cosa posso aggiungere?’ Io lo chiamo il ‘tocco di Nadia’. Ho aggiunto ampiezza a ogni movimento, in modo che sembrasse come nel libro, ma ho solo aggiunto qualcosa. Era il mio tocco personale“.
Il tocco personale era il cosiddetto salto Comaneci, un salto frontale in avanti, staccando entrambe le mani, dallo staggio alto delle parallele, a gambe divaricate. Un passaggio incredibilmente complesso per la forza che necessita nello stacco dallo staggio. E per la precisione che richiede nell’afferrare la parallela senza colpirla coi talloni.
Com’è nato il salto? Per errore. Mentre provava un salto mortale dallo staggio basso a quello altro. Il movimento le risultava difficile poiché sbatteva con i talloni. E nel contempo afferrava per errore la sbarra inferiore.
“Il mio allenatore mi ha detto: ‘È molto interessante. Pensi di poterlo fare alla sbarra alta, spostarlo verso l’alto?’.” Ricorda la Comaneci. “Io dissi: ‘No, perché colpirei i miei talloni’. Allora abbiamo spalmato i talloni con la schiuma, perché li sbattevo sempre, finché non ho capito qual era la tecnica migliore per evitarlo“.