Il neurologo Rosario Sorrentino ha parlato degli attacchi di panico, spiegandone le possibili cause e descrivendone i principali sintomi e spiegando come gestirli, sia in una prospettiva a breve termine, che in riferimento a un protocollo di cura più strutturato ed esteso nel tempo; in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera in occasione dell’uscita del volume Panico 2.0, scritto con la figlia Giulia, studente di Psichiatria ed essa stessa soggetta a questa malattia, il professionista ha dettagliato innanzitutto le radici fisiologiche e psicologiche del problema
“Alla base, può esserci o non esserci un trauma da abbandono e c’è una predisposizione genetica” – ha spiegato Sorrentino al Corriere parlando delle cause degli attacchi di panico – “La predisposizione viene slatentizzata [palesata, attivata, ndr] da eventi stressanti come un lutto o un trasloco, che creano nel cervello condizioni biochimiche negative che impattano sul sistema di allarme dell’amigdala, che segnala pericoli inesistenti mentre la corteccia prefrontale – il luogo dove si pianificano azioni, decisioni, comportamenti – non riesce a riconoscere che quelle idee catastrofiche sono fuori dalla realtà; L’attacco di panico è la rottura di un equilibrio, io lo definisco “la bugia del cervello”: in quel momento, anche se sei in pieno benessere, al supermercato o a cena, il cervello ci vuole convincere di un pericolo che non c’è.”
A quel punto, subentrano i primi sintomi veri e propri, spesso confusi con quelli di un infarto o di un ictus: “L’attacco è vissuto in modo fisico. Si sente il cuore come se volesse uscire dal petto o si offusca la vista o si perde l’equilibrio…“. Parole che riecheggiano nel racconto di Giulia, che descrive così, con minuzia di particolari, le sensazioni provate durante gli attacchi, a cominciare dal primo: “Stavo tornando a casa dopo essere stata dal parrucchiere e inizio ad avvertire tachicardia, fame d’aria… Ho sentito gambe e braccia che si staccavano, gli arti paralizzati, pensavo di avere un ictus. Volevo un’ambulanza, papà mi ha detto che stavo provando quella cosa di cui avevo tanto sentito parlare: l’attacco di panico, che non si presenta sempre nello stesso modo.”
“A volte, senti un formicolio, altre hai la sensazione di avere una trombosi o un infarto o scappi dal cinema perché non riesci a respirare, per cui, ti dici sempre: stavolta, non è panico, è una malattia mortale. Per un periodo, ho avuto paura di strozzarmi mangiando e avevo eliminato mille cibi difficili da deglutire, tipo l’alga del sushi roll. Dicevo: sono allergica. Mi ha sempre preoccupato non avere un ospedale vicino. Una volta, gli amici mi portano a cena fuori e, quando scopro che, per pochi chilometri, eravamo in Piemonte anziché in Lombardia, mi è preso un colpo. Ho pensato: qui non conosco nessuno, se succede qualcosa, che faccio, dove vado?”
Riguardo alla gestione dell’emergenza, Sorrentino e la figlia hanno le idee molto chiare; la parola d’ordine è “distrazione”; occorre infatti allontanare il pericolo dalla propria mente, impiegandosi in attività concrete: “Bisogna fare altro, riordinare casa invece di ascoltare il sintomo: la politica del panico è impossessarsi del nostro flusso di idee deformando la percezione della realtà.
Importante è affrontare il malessere senza nasconderlo, a se stessi e agli altri: “Devi parlare al panico come se fosse una persona, dirgli che hai altro da fare. Se lo fai, attivi un network neuronale che accompagna piano piano le idee catastrofiche alla porta. Un altro consiglio è la tecnica del cassetto: bisogna selezionare due o tre ricordi belli e, in caso di attacco, concentrarsi su quelli; bisogna arrivare a dire, come se fosse un mal di testa: scusate, ho un attacco di panico, esco e torno fra cinque minuti; molti nascondono gli attacchi di panico, perché la gente dice: non hai niente, stare bene dipende solo da te. Ma è falso, il disturbo di panico è nel manuale diagnostico MSD al pari di patologie come l’infarto o l’emicrania.”
Ma quando è necessario intraprendere una cura sistematica per questo disturbo, e in cosa consiste?: “La terapia non si comincia al primo attacco, ma solo se l’episodio si ripete periodicamente e causa ansia e paura che torni. E comunque, alle prime avvisaglie, è già bene cambiare lo stile di vita. Infatti, abbiamo dedicato un intero capitolo all’attività aerobica che è di per sé terapeutica; poi, svegliarsi presto, fare attività fisica, soprattutto camminare molto, non fumare, non bere alcol né caffè“.
Secondo Sorrentino – che ha appena pubblicato il libro Panico 2.0 – però, un cambiamento d’abitudine può non essere sufficiente a eliminare il problema: “Gli psicofarmaci sono essenziali. C’è un pregiudizio sociale verso gli psicofarmaci. Infatti, molti arrivano da me come all’ultima spiaggia, magari dopo anni di psicanalisi. A volte, può essere utile associare una psicoterapia breve cognitivo comportamentale. Lo psicofarmaco agisce a livello fisico oltre che sull’interruttore del segnale di allarme, l’amigdala. Quanto alla dipendenza, è un falso mito dovuto al fai da te con le benzodiazepine. In questo momento, almeno due milioni e mezzo di italiani soffrono di attacchi di panico, ma la bella notizia è che si può guarire. La mia forte ambizione non è collezionare pazienti, ma ex pazienti”.