Il Citrobacter è un batterio molto infettivo per l’uomo, in particolare per i neonati prematuri, come nell’ultimo caso fatto registrare a Verona, dove tre piccoli ricoverati nel reparto di terapia intensiva neonatale dell’ospedale di Borgo Trento, hanno contratto l’infezione. Con Pseudomonas aeruginosa, Enterobacter, Klebsiella, Escherichia coli, Serratia, Proteus, Acinetobacter, Haemophilus influenzae e Legionella, il Citrobacter appartiene dunque alla categoria dei batteri nosocomiali. Ovvero, il contagio può avvenire in ospedale. Esso ccolpisce in particolar modo le vie urinarie, ma può diffondersi nelle vie respiratore e nel sistema nervoso centrale. Provocando meningite. Non sono immuni dal contagio anche ferite, ossa, peritoneo, endocardio e flusso sanguigno.
Il Citrobacter è un batterio ubiquitario, ovvero si trova ovunque, anche all’interno del nostro microbiota intestinale. Non è certo questa variante a essere preoccupante, quanto quelle freundii, koseri e braakii.
Il contagio, in particolare da Citrobacter koseri all’interno della struttura ospedaliera, avviene tramite contatto con personale sanitario non opportunamente sterilizzato.
Ma può esserci anche con l’assunzione di alimenti contaminati, durante il parto o tramite contatto con superfici o oggetti contaminati.
I sintomi da infezione da Citrobacter sono legati dalla zona colpita, variano perciò sensibilmente. Possiamo avere arrossamento, gonfiore, dolore localizzato e pus. Ma anche polmonite con difficoltà respiratoria e febbre elevata. E, nel caso di infezione alle vie urinarie, anche difficoltà a urinare e dolore alla minzione.
Il Citrobacter koseri, quello individuato a Verona, può causare come detto una gravissima meningite neonatale, unita a encefalite necrotizzante e ascessi cerebrali.
Per individuare l’infezione sono necessari degli esami immediati. Prioritarie sono analisi del sangue ed emocoltura, urinocoltura e tampone cutaneo (nel caso di infezione epidermica).
Di fondamentale importanza anche l’antibiogramma, un test di laboratorio che consiste nel mettere il batterio a contatto con un antibiotico per valutare quello più efficace. Solo a questo punto si può valutare l’antibiotico o il cocktail di antibiotici da somministrare al paziente.