Dici Cina e Giappone e pensi alle bacchette utilizzare per mangiare qualsiasi pietanza. Una tradizione che per noi occidentali è affascinante e respingente allo stesso tempo. Ma qual è l’origine dell’uso questa caratteristica “posata”? A quanto pare risale alla Cina della Dinastia Shang (tra il 1600 e il 1100 a.C.), quando i popoli della valle del Fiume Giallo affrontarono un boom demografico tale, da portarli a razionare le derrate alimentari. Carne, pesce e verdure, quindi, furono sminuzzate per essere meglio porzionate. A quel punto arrivarono le bacchette. Perfette da usare su cibo già tagliato. E anche su prodotti nuovi come gli spaghetti, i noodles. Nati dalla nuova lavorazione dei cereali.
Prevalentemente si trattava di bacchette in bambù che si sono diffuse in quasi tutto il Sud-est asiatico. Dalla Cina alle Coree, senza dimenticare Giappone, Taiwan, Thailandia, Vietnam e Singapore. In Corea del Sud sono di metallo, ma se ne trovano anche in plastica.
Le bacchette, hashi in giapponese e kuàizi in cinese, sono dunque considerate come degli strumenti che consentono di maneggiare il cibo con cura. Inoltre, e questo è molto orientale se ci pensate, sono associate a un senso di equilibrio e armonia. Insomma, permettono di gustare il cibo con lentezza, godendone fino alla fine. Incoraggiando una maggiore consapevolezza del pasto e dei sapori. Questo è proprio il concetto di mindfullness.
La pratica delle bacchette varia leggermente da una cultura all’altra.
In Giappone si usano per mangiare cibi solidi come il sushi e il tempura, la frittura tipica di pesce e verdure in pastella di acqua ghiacciata e farina. O i gyoza. Zuppe e brodi, invece, si consumano direttamente dalla ciotola. In Cina, invece, le bacchette sono impiegate per tutti i tipi di cibi.
Le bacchette hanno inoltre un ruolo importante nelle cerimonie religiose, dove vengono usate per offrire cibo agli dei e agli antenati defunti.