Il 25 giugno 2009, alle ore 14.26, moriva Michael Jackson nella sua residenza ad Hombly Hills, Los Angeles, a soli 50 anni. La notizia della scomparsa improvvisa del re del pop fa immediatamente il giro del mondo lasciando i suoi fan sconcertati, come anche il resto del mondo dello spettacolo. A rendere tutto ancora più inquietante, poi, sono le cause della morte. Sembra, infatti, che l’arresto cardiaco che l’ha colpito, sia stato causato da un’intossicazione acuta da Propofol e benzodiazepine. Ma cosa è accaduto per arrivare a questo drammatico epilogo?
Una notte da dimenticare
Tutto ha inizio il giorno prima. Jackson torna a casa verso mezzanotte dopo un’intensa giornata di prove per il tour imminente. In casa con lui c’è il medico Conrad Murray, che lo segue da alcune settimane. Il cantante, infatti, ha difficoltà ad addormentarsi e, per questo motivo, fa uso di benzodiazepine, lo stesso farmaco che prende la notte del 24 giugno.
Nonostante questo, però, ancora stenta a riposare. Ecco, dunque, che interviene il dottor Murray iniettando il Propofol, un potente anestetico. Sono le 10.40 del 25 giugno, Michael Jackson indossa una maschera per ossigeno ma, nonostante questo, smette di respirare. Quando il medico si accorgo della situazione prova a praticare un massaggio cardiaco ma l’intervento è inefficace a causa della superficie morbida su cui è adagiato Jackson. Solamente alle 12.25 viene chiamata, finalmente, un’ambulanza. Il suo arrivo, però, è del tutto inefficace. Il re del pop, infatti, è già morto per una intossicazione da farmaci.
La condanna
La morte, dopo la perizia dell’autopsia arrivata nel mese di agosto dello tesso anno, viene classificata come omicidio colposo. Unico imputato, ovviamente, il dottor Murray , la cui pratica viene definita dal giudice californiano Michael E. Pastor “pazzia medica” e “esperimenti in medicina che non possono essere tollerati”. Per questo il medico viene dichiarato colpevole e condannato alla massima pena possibile per il reato di omicidio involontario: quattro anni di reclusione nello Stato della California. Questi alcune delle motivazioni che hanno portato alla sentenza, secondo il giudice Pastor:
Murray non solo non si è assunto nessuna responsabilità sulla morte di Jackson, non ha mai dimostrato nessun pentimento per una pratica quanto meno discutibile, ma anzi è arrivato ad accusare lo stesso cantante di essere il responsabile della sua stessa morte.