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Home » Cultura » Storia » Chi uccise Martin Luther King, icona della lotta nonviolenta?

Chi uccise Martin Luther King, icona della lotta nonviolenta?

Sono passati 57 anni dall'attentato in cui perse la vita Martin Luther King. Ecco cosa accadde davvero quel pomeriggio del 1968.
Gabriella DabbeneDi Gabriella Dabbene4 Aprile 2025
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Martin Luther King subito dopo lo storico discorso "I Have A Dream" del 28 agosto 1963 al Lincoln Memorial di Washington D.C.
Martin Luther King subito dopo lo storico discorso "I Have A Dream" del 28 agosto 1963 al Lincoln Memorial di Washington D.C. (fonte: Wikipedia)
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Il 4 aprile 1968, a poco più di 3 anni dal brutale omicidio di Malcolm X, gli Stati Uniti – e con loro il mondo intero – venivano sconvolti da un nuovo efferato crimine ai danni di un altro attivista per i diritti civili, diventato anch’egli un punto di riferimento per la comunità afroamericana: parliamo di Martin Luther King, il cui celebre “sogno” venne infranto con un colpo di fucile in un pomeriggio di 57 anni fa. Cerchiamo di risalire agli eventi immediatamente precedenti a questo delitto e all’impatto che esso ha avuto sulla comunità di riferimento di King, nonché all’identità del suo vero assassino.

Nella seconda metà degli anni ’60 Martin Luther King è ormai un’icona della lotta nonviolenta per l’emancipazione della comunità nera, ha condotto numerose marce di protesta a favore dell’uguaglianza dei diritti tra bianchi e neri, e portato avanti numerosi appelli per l’estensione del diritto di voto agli afroamericani; per il suo instancabile pacifismo ha anche ricevuto nel 1964 il Premio Nobel per la Pace, e l’anno seguente riesce quasi ad attirare l’interesse di Malcolm X (convinto promotore del separatismo nero) poco prima che quest’ultimo venga ucciso a New York nel corso di un comizio.

Le cose però non vanno sempre per il meglio tra lui e altri attivisti: con l’avvento del Movimento del Potere Nero (Black Power) molti cercano di far prendere a King una posizione decisa in merito, ma lui continua a sostenere che la violenza possa causare solo altra violenza, anche per coloro che vengono oppressi ingiustamente. A inizio 1968 egli cerca di organizzare una campagna a sostegno dei poveri radunando membri di comunità indiane, portoricane e di altre nazionalità oltre che afroamericane; l’iniziativa risulta però controversa anche a molti suoi colleghi attivisti, che vedono nel coinvolgimento di altre comunità un ampliamento troppo grande degli obiettivi, definiti irrealizzabili, con conseguente rischio di repressione violenta sui poveri e sui neri.

Il funerale di Martin Luther King al cimitero di South View di Atlanta, il 9 aprile 1968
Il funerale di Martin Luther King al cimitero di South View di Atlanta, il 9 aprile 1968 (fonte: AP)

Sempre nello stesso anno, il 29 marzo, King si reca a Memphis in sostegno dei netturbini afroamenicani del posto, in sciopero dal 12 marzo per richiedere uno stipendio più alto e migliori condizioni di lavoro. Il 3 aprile egli tiene al Mason Temple quello che sarà il suo ultimo discorso pubblico, I’ve been to the mountaintop, citando anche un allarme bomba che ha appena fatto ritardare il suo aereo. Alle 18:01 del giorno seguente, mentre è affacciato al balcone del secondo piano del Lorraine Motel in cui alloggia, viene raggiunto da un colpo di fucile di precisione alla testa, sparato da un edificio vicino; nonostante i repentini tentativi di salvarlo, Martin Luther King Jr muore un’ora dopo al St. Joseph Hospital.

Sin dal giorno successivo i primi sospetti ricadono su James Early Ray, che alcuni testimoni oculari sostengono di aver visto fuggire da una casa di fronte al Lorraine Motel poco dopo l’omicidio. Perquisendo l’area circostante l’edificio, la polizia ritrova un fucile e un binocolo con le impronte digitali di Ray, e scopre che l’uomo ha acquistato l’arma sotto falso nome qualche giorno prima. Dopo una caccia all’uomo di due mesi, Ray viene arrestato all’aeroporto Heathrow di Londra e ricondotto negli Stati Uniti. Dopo una iniziale confessione, ritrattata poco dopo, l’uomo si proclamerà sempre innocente; nel 1977 riuscirà a evadere dal penitenziario in cui è recluso, ma viene ritrovato e imprigionato nuovamente nel giro di 3 giorni.

Nel frattempo, nonostante l’appello del presidente Johnson alla calma, si registrano atti violenti in più di 120 città americane, in reazione al tragico evento; negli scontri con la polizia, alimentati anche dalle parole dell’attivista Stokey Carmichael che considera l’omicidio una dichiarazione di guerra al popolo afroamericano, muoiono 46 persone, ne vengono ferite 26.000 e arrestate 21.000. Il 7 aprile viene dichiarato un giorno di lutto nazionale, mentre il 9 aprile si tiene il funerale di King, in cui la vedova Coretta legge il sermone pronunciato dal marito il precedente 4 febbraio: nel corso del sermone egli chiede di essere ricordato come una persona che aveva cercato di amare e servire l’umanità.

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