Esattamente 60 anni fa, all’Audubon Ballroom di New York, veniva brutalmente assassinato Malcolm X, attivista per i diritti civili e figura controversa presso le autorità dell’epoca per le sue posizioni politiche radicali ma amatissima dalla comunità afroamericana e non solo. Molto si è detto sulla sua morte nei decenni successivi, ma nonostante lunghe e travagliate indagini le circostanze che hanno portato al compimento di questo crimine efferato sono ancora in parte da scoprire, come anche l’identità di tutti i suoi mandanti. Facciamo un po’ di chiarezza.
Malcolm X nacque come Malcolm Little a Omaha, Nebraska, il 19 maggio 1925 da Earl e Louise Norton Little. Quando era ancora bambino la sua famiglia si vide costretta a trasferirsi più volte, perseguitata da un gruppo di suprematisti bianchi chiamato Black Legion che in una particolare occasione diedero fuoco alla loro casa. Nel 1931, quando Malcolm ha solo 6 anni, Earl morì in circostanze non del tutto chiare, gettando nello sconforto la moglie che qualche anno dopo venne rinchiusa a vita in un ospedale psichiatrico in seguito a numerosi crolli emotivi; Malcolm rimase sempre convinto che il padre fosse stato assassinato dalla Black Legion.
Malcolm e i suoi fratelli vennero separati e affidati a varie strutture e famiglie. Il suo sogno di diventare avvocato fu infranto da un insegnante che lo dissuase dal proseguire gli studi, per via del colore della sua pelle; ben presto cominciarono i problemi con la legge, che si intensificarono fino all’arresto per violazione di domicilio, furto e possesso illegale di armi da fuoco: Malcolm venne così condannato a 10 anni di prigione.
Due anni dopo, il fratello Reginald lo convinse a unirsi a un’organizzazione religiosa dal nome di Nation of Islam (NOI): si trattava di una autoproclamata “setta islamica militante” che sosteneva il nazionalismo nero e si opponeva all’integrazione tra neri e bianchi. Un altro caposaldo della dottrina della NOI era l’idea che gli schiavi africani condotti in America fossero in origine principalmente musulmani, e che i loro discendenti dovessero quindi riconvertirsi alla loro religione originaria. Malcolm riuscì a farsi trasferire in una struttura meno rigida e trascorse il resto della detenzione a studiare storia e filosofia, e ad affinare la propria grafia, intraprendendo una corrispondenza epistolare con il leader della NOI Elijah Muhammad; fu rilasciato nel 1952 per buona condotta, scontando dunque 4 anni in meno.

Già dal carcere comunque aveva iniziato ad attirare su di sé le attenzioni dell’FBI, dopo essersi più volte dichiarato comunista e aver inviato al presidente Truman una lettera di protesta contro la Guerra di Corea; Malcolm aveva inoltre iniziato a firmarsi “Malcolm X” in segno di omaggio verso il suo cognome originario, perso per sempre in seguito alla schiavitù (il cognome Little era infatti quello dei padroni dei suoi antenati). Un anno dopo la scarcerazione, la CIA iniziò a sottoporlo a sorveglianza costante, reputandolo non solo pericoloso in quanto comunista, ma anche affetto da “personalità asociale con tendenze paranoiche”.
La sua adesione alla NOI rese la setta estremamente famosa: in soli 10 anni il numero dei suoi membri aumentò da 500 a 30.000; tra questi anche celebrità come il pugile Cassius Clay, che cambiò il suo nome in Mohammed Ali. Nel frattempo anche la popolarità di Malcolm crebbe a dismisura, non solo per il carisma mostrato nei suoi discorsi in pubblico ma anche per le sue dichiarazioni polemiche e le sue posizioni di rottura anche verso altri attivisti per i diritti degli afroamericani, come Martin Luther King che prese ben presto le distanze da lui.
Nel 1964 Malcolm lasciò la NOI, in seguito a numerosi contrasti con Elijah e altri Ministri, e fondò la Muslim Mosque, che ne condivideva la maggior parte dei principi ma si discostava dall’idea dell’Islam come principale elemento di coesione per la comunità afroamericana. Egli continuava comunque a proclamarsi musulmano (ora ortodosso), adottando il nome di el-Hajj Malik el-Shabazz, e il suo intransigente separatismo nero gli fece guadagnare subito numerosi proseliti.
Oltre ai tanti seguaci, tuttavia, Malcolm aveva collezionato anche diversi nemici, e per tutto il 1964 lui e la sua famiglia furono vittima di numerose minacce e attacchi non solo intimidatori anche da parte di alcuni membri della NOI: lo stesso Elijah era stato sorpreso a dichiarare che “a ipocriti come Malcolm” bisognasse tagliare la testa; anche gli informatori dell’FBI, che continuava a sorvegliarlo, ricevettero numerose segnalazioni sospette che indicavano come il leader della Muslim Mosque fosse in pericolo di vita. Il 14 febbraio del 1965, la sua casa – da cui stava per essere sfrattato – fu distrutta da un misterioso incendio; pochi giorni dopo egli dichiarò che la NOI stava attivamente cercando di ucciderlo.
Nonostante le tensioni, il 21 febbraio dello stesso anno Malcolm si presentò a un Audubon Ballroom di Manhattan gremito di gente. Ma prima che potesse prendere la parola, un uomo gli corse incontro e gli sparò un colpo al petto con un fucile a canne mozze; mentre la folla terrorizzata cercava di fuggire dal teatro, altri due gli scaricarono contro le rispettive pistole, colpendolo con un totale di 21 pallottole davanti alla moglie incinta e alle figlie; Malcolm morì in ospedale la notte stessa, gettando nello sgomento una intera comunità. Tre membri della NOI furono immediatamente arrestati, identificati come esecutori del delitto sulla base di alcune testimonianze, e condannati all’ergastolo, nonostante uno di loro (Talmadge Hayer, bloccato dalla folla subito dopo l’omicidio) proclamasse a gran voce l’innocenza degli altri due (Norman 3X Butler e Thomas 15X Johnson).
Nel corso degli anni l’assassinio di Malcolm X ha continuato tuttavia a porre numerosi interrogativi irrisolti: perché le forze dell’ordine non lo avevano protetto, sapendo che stava rischiando la vita? Perché gli assassini si erano introdotti in sala così facilmente? Perché le indagini si erano concluse così rapidamente? Perché la scena del crimine era stata compromessa quasi immediatamente dagli stessi poliziotti, del tutto indifferenti dinanzi a un delitto così efferato?
Nel 2021 un documentario di Netflix intitolato Who killed Malcolm X?, che tentava di far luce sulla faccenda, insinuando anche il coinvolgimento di CIA e FBI, ha spinto il procuratore distrettuale di Manhattan Cyrus Vance a riaprire le indagini: esse hanno portato a scagionare Norman 3X Butler e Thomas 15X Johnson doopo 55 anni di carcere per assenza di prove sufficienti. Nulla però si sa ancora dell’identità dei veri colpevoli, né dei loro mandanti.