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Home » Sport » Come ha fatto Usain Bolt a diventare l’uomo più veloce del mondo?

Come ha fatto Usain Bolt a diventare l’uomo più veloce del mondo?

Usain Bolt è stato un caso irripetibile di convergenza tra genetica, struttura fisica, potenza muscolare, coordinazione neuromuscolare.
Francesca FiorentinoDi Francesca Fiorentino6 Aprile 2025
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Usain Bolt che corre sorridendo
Usain Bolt che corre sorridendo (fonte: HS Insider)
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Usain Bolt è ancora l’uomo più veloce della storia sui 100 e 200 metri piani. Un primato che è il risultato di una combinazione unica di genetica, biomeccanica, allenamento specifico e fattori neurofisiologici. Il suo record mondiale sui 100 metri (9,58 secondi) stabilito nel 2009 a Berlino continua a essere oggetto di analisi scientifiche approfondite. La domanda è sempre la stessa: come fa un essere umano a essere in grado di correre a velocità prossime ai 44,72 km/h?

Uno dei primi elementi da considerare è l’anatomia di Bolt. Con i suoi 1,95 m di altezza e un peso di circa 94 kg in piena attività, Bolt presenta caratteristiche inconsuete per uno sprinter. Tradizionalmente, infatti, i velocisti sono più bassi, in quanto le leve lunghe tendono ad aumentare il momento d’inerzia e a rallentare l’accelerazione. Tuttavia, nel caso di Bolt, la lunghezza della falcata (in media 2,44 metri contro i circa 2,20 degli altri atleti) ha compensato la sua fase di partenza più lenta, permettendogli di coprire la distanza con un numero minore di passi: solo 41 nei 100 metri, contro i 45-48 della media.

Dal punto di vista biomeccanico, la spinta generata in ogni appoggio è un altro fattore chiave. Studi condotti su registrazioni ad alta velocità mostrano che Bolt sviluppava, in ogni passo, una forza orizzontale di spinta eccezionale. Le sue fibre muscolari, in particolare le fibre a contrazione rapida (tipo IIb), risultano predominanti, permettendo una produzione esplosiva di potenza.

In un articolo pubblicato su Bio Engineering  si evidenzia che Bolt produceva circa 2619 watt di potenza durante i primi secondi della corsa. Una parte significativa di questa energia veniva però dispersa in forma di attrito con l’aria. Si stima che Bolt abbia incontrato una resistenza aerodinamica superiore rispetto a corridori più piccoli, ma la sua forza compensava tale svantaggio.

Usain Bolt che corre
Usain Bolt che corre (fonte: BBC/Getty)

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il tempo di reazione allo sparo iniziale dello starter incide in minima parte sulla prestazione finale. Nei 100 metri, la differenza tra un’ottima e una media reazione è di circa 0,03-0,05 secondi. Nel caso di Bolt, il tempo di reazione non era particolarmente rapido (intorno ai 0,146 secondi nel record mondiale), ma la sua fase lanciata era superiore a quella di qualunque altro atleta.

Dal punto di vista della frequenza di passo, invece, Bolt era nella media: circa 4,28 passi al secondo, contro i 4,6–4,8 di molti rivali. Ciò indica che la sua superiorità risiedeva più nella lunghezza che nella frequenza della falcata, un dato biomeccanicamente rilevante.

Un aspetto spesso trascurato riguarda il sistema nervoso o meglio la capacità dell’atleta giamaicano di sfruttare al massimo ogni contrazione, ottenendo un livello di coordinazione neuromuscolare altissimo. Una capacità affinata con anni di allenamento ad alta intensità e rapidità.

Numerosi studi genetici hanno analizzato la correlazione tra alcuni polimorfismi genetici (in particolare il gene ACTN3, associato alla produzione di alfa-actinina-3) e le prestazioni nei velocisti. Dunque, è probabile che Bolt presenti un profilo genetico altamente favorevole a sforzi esplosivi e brevi.

Il successo di Bolt non può essere spiegato senza considerare il ruolo dell’allenamento. Sotto la guida del coach Glen Mills, il lavoro è stato centrato sullo sviluppo della forza esplosiva, della resistenza lattacida per i 200 metri, e sull’efficienza meccanica della corsa. Particolare attenzione veniva dedicata al controllo del movimento delle braccia, alla stabilizzazione del core e alla gestione della fase di transizione tra accelerazione e velocità massima.

Nel 2013, una pubblicazione della Cornell University sullo European Journal of Physics ha proposto un modello dinamico del corpo di Bolt durante la corsa. I ricercatori hanno calcolato che la potenza meccanica netta richiesta per sostenere una corsa a 12,2 m/s (la velocità media del record) era estremamente elevata. Tuttavia, la sua capacità di convertire energia metabolica in lavoro meccanico utile superava quella di altri sprinter, probabilmente grazie a una combinazione di biomeccanica efficiente e metabolismo anaerobico ottimizzato.

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