Il termine sibling non indica semplicemente un fratello o una sorella, ma assume una connotazione specifica: si riferisce ai fratelli e alle sorelle di persone con disabilità fisiche, cognitive o condizioni del neurosviluppo, come l’autismo, l’ADHD o la sindrome di Down. In questo ambito, il termine viene utilizzato in modo tecnico, soprattutto nella letteratura psicologica e nei programmi di supporto familiare.
Essere sibling, dunque, comporta implicazioni emotive, sociali e pratiche profonde, come si può notare nel film, ora al cinema, La vita da grandi, ispirato alla vera storia dei fratelli Tercon.

I sibling, infatti, si trovano frequentemente a svolgere ruoli complessi e sfaccettati, che possono includere supporto emotivo per i genitori e il familiare disabile e mediazione nei contesti sociali o educativi.
Secondo un report del Sibshop Program (una rete di supporto statunitense riconosciuta dall’American Academy of Pediatrics), molti sibling vivono esperienze di ambivalenza emotiva: amore e senso di protezione, ma anche frustrazione, senso di colpa o invisibilità. Questo equilibrio delicato può avere ripercussioni sullo sviluppo identitario e relazionale, specialmente durante l’adolescenza.
Nei casi più difficili, come spiegato nella ricerca pubblicata sul Journal of Child and Family Studies (2019), i sibling possono manifestare livelli più elevati di ansia, senso di isolamento o responsabilizzazione precoce, ma anche una maggiore empatia, tolleranza e capacità di problem solving rispetto ai coetanei. Quando però le difficoltà si moltiplicano, si parla di sovraccarico da cura (burden of care), una condizione studiata in ambito geriatrico e ora applicata anche alle relazioni familiari nelle disabilità permanenti.
A livello sociologico, l’identità dei sibling è rimasta per lungo tempo marginale e poco rappresentata nei discorsi pubblici, anche nel settore del welfare. Solo negli ultimi due decenni è emersa la necessità di dare voce a queste persone come parte attiva del contesto familiare e sociale della disabilità.
La cultura italiana, tradizionalmente familista, tende a normalizzare l’assunzione di ruoli di cura, rendendo spesso invisibile il bisogno di supporto dei sibling. In contesti più laici o individualisti, come nel Nord Europa, i sibling sono invece oggetto di politiche pubbliche dedicate, come voucher psicologici, ferie retribuite e programmi educativi.