Tra i simboli più forti di eroismo e sacrificio legati alla resistenza durante il secondo conflitto mondiale c’è quello legato alla vicenda dei fratelli Cervi. La loro storia è quella di sette giovani uomini, figli di contadini emiliani, che, in uno dei momenti più bui della Storia, hanno deciso di opporsi al fascismo con coraggio e determinazione, fino al sacrificio estremo. Ancora oggi, dunque, il loro nome è sinonimo di libertà, giustizia e spirito di lotta. Valori che dovrebbero essere tramandati alle nuove generazioni.
Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore sono i figli di Alcide Cervi e Genoeffa Cocconi, contadini di Campegine, in provincia di Reggio Emilia. Cresciuti in una famiglia con forti valori di solidarietà, cultura contadina e apertura sociale, i sette fratelli hanno naturalmente abbracciato gli ideali antifascisti. Alcuni iniziano ad essere attratti dal comunismo, altri dal socialismo, ma tutti condividono la convinzione che il regime fascista sia il responsabile della repressione, dell’ingiustizia sociale e della guerra.
Il loro impegno, però, non è solo ideologico. Dopo l’8 settembre 1943, con l’occupazione nazista dell’Italia e la nascita della Repubblica Sociale Italiana, i Cervi decidono di unirsi attivamente alla Resistenza. Ospitano partigiani nella loro casa, aiutano prigionieri alleati fuggiti, distribuiscono stampa clandestina e armi. Aldo, il più carismatico tra i fratelli, diventa una figura centrale nella scelta di trasformare l’azienda agricola di famiglia in una base logistica per i resistenti.

Tanto impegno, però, non passa certo inosservato. Il 25 novembre 1943, infatti, i fratelli Cervi vengono arrestati dai fascisti insieme ad altri partigiani, dopo uno scontro a fuoco a Bagnolo in Piano. Imprigionati nel carcere di Reggio Emilia, sono brutalmente interrogati e torturati. Nonostante ciò, nessuno tradisce i compagni. La loro esistenza, però, è destinata ad avere un epilogo ancora più drammatico. Il 28 dicembre 1943, per rappresaglia contro un attentato partigiano ai danni di un funzionario fascista, i sette fratelli vengono prelevati dalla prigione e fucilati al poligono di tiro cittadino. Hanno tra i 22 e i 42 anni. A sopravvivere a tutti loro è il padre Alcide, che, al termine del conflitto decide di raccontare la loro storia dimostrando tutto l’immenso dolore per la perdita dei suoi figli, ma anche l’orgoglio per il loro gesto.
Il sacrificio dei fratelli Cervi, dunque, ha avuto un forte impatto sulla memoria collettiva italiana. A guerra finita, infatti, la loro storia è diventata simbolo della lotta per la libertà e contro ogni forma di dittatura. La figura del padre Alcide, poi, instancabile testimone del coraggio dei figli, ha contribuito a mantenerne viva la memoria attraverso scritti, conferenze e incontri nelle scuole. Oggi, la casa della famiglia Cervi è diventata il Museo Cervi, un luogo della memoria visitato da migliaia di persone ogni anno. Il loro esempio, dunque, continua a ispirare chi crede in una società più giusta, libera e solidale. Tutti valori essenziali e fondamentali per proteggere la democrazia.