Alla vigilia del secondo anniversario della strage del 7 ottobre che ha fatto deflagrare il Medio Oriente, le delegazioni di Israele e Hamas si sono riunite a Sharm El Sheikh per cercare di chiudere un accordo di pace. L’obiettivo è trovare un compromesso basato sul piano in venti punti rivelato dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, già accettato da entrambe le parti, seppur con riserve da parte dei miliziani palestinesi.
La scelta di Sharm El Sheikh non è casuale. La città sul Mar Rosso, conosciuta anche come “città della Pace”, evoca ricordi di successi diplomatici passati. Nel 2005, proprio in un grande albergo della località turistica egiziana, il presidente Hosni Mubarak, il primo ministro israeliano Ariel Sharon, il re giordano Abdullah II e il presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas siglarono l’accordo che pose fine alla Seconda Intifada.
In un resort di lusso affacciato sul mare si sono chiuse le delegazioni più attese degli ultimi decenni. Con loro, i mediatori di Egitto, Qatar, Turchia e Stati Uniti hanno dato inizio ai colloqui indiretti più difficili e delicati della storia recente del conflitto israelo-palestinese. Ma chi sono realmente i protagonisti di questi negoziati che potrebbero cambiare il corso della guerra a Gaza?
La delegazione di Hamas è guidata da Khalil al-Hayya, membro del politburo con base a Doha e unico nome ufficialmente confermato del gruppo. Al-Hayya è già stato a capo della squadra negoziale durante il primo accordo di tregua di gennaio ed è considerato il leader de facto del movimento. La sua presenza a Sharm El Sheikh è particolarmente significativa: si tratta della sua prima apparizione pubblica dal 9 settembre, giorno in cui Israele ha tentato di assassinarlo a Doha. Nell’attacco, che ha mancato il bersaglio principale, sono morti suo figlio, un collaboratore del suo ufficio, tre guardie del corpo e un poliziotto qatariota.

Al-Hayya è uno dei cinque membri del “consiglio di governo”, l’organo che guida dall’estero l’organizzazione, formatosi dopo la catena di uccisioni mirate che in questi due anni ha decimato i vertici jihadisti. Accanto a lui potrebbero esserci Ghazi Hamad, Bassem Naim e Mousa Abu Marzouk, altri esponenti di spicco dell’ufficio politico in Qatar. La loro partecipazione non è stata confermata ufficialmente, secondo alcuni per questioni di sicurezza, ma i media arabi riferiscono che sia presente “gran parte della leadership di Hamas all’estero”.
Sul fronte israeliano, invece, i nomi sono in chiaro. La delegazione comprende Gal Hirsch, coordinatore del governo per gli ostaggi, Nitzan Halon, responsabile dell’esercito israeliano per i prigionieri ancora a Gaza, e Ophir Falk, consigliere speciale del primo ministro Benjamin Netanyahu. Ma i personaggi più misteriosi sono due membri dello Shin Bet, i servizi di intelligence israeliani, identificati solo come “l’Agente M” e “l’Agente D”. Per ovvie ragioni di sicurezza, le loro identità rimangono segrete, anche se il loro ruolo nei negoziati è considerato cruciale.
Ron Dermer, ministro agli Affari Strategici, non è presente in questa prima fase dei colloqui ma dovrebbe raggiungere la delegazione nei prossimi giorni. Il Qatar è rappresentato dal primo ministro e ministro degli Esteri Mohammed Al Thani, mentre per l’Egitto è confermata la presenza del capo dell’intelligence Hassan Mahmoud Rashad. Non è chiaro se gli americani abbiano già preso parte agli incontri iniziali o se attendano che i colloqui entrino nel vivo.
A rappresentare Donald Trump ci sono Steve Witkoff, ex immobiliarista e inviato speciale della Casa Bianca, e Jared Kushner, genero del presidente e marito di Ivanka Trump. Kushner svolge un ruolo ufficioso di consigliere sul Medio Oriente e mantiene rapporti stretti con i Paesi del Golfo. È considerato la mente dietro agli Accordi di Abramo e, insieme a Witkoff, è tra gli ideatori dei venti punti che compongono il piano su cui si basano questi colloqui.
Un aspetto fondamentale da sottolineare è la natura indiretta dei negoziati. Le due delegazioni si trovano in stanze separate, probabilmente dello stesso albergo di lusso, e non hanno contatti diretti tra loro. I mediatori, supportati da esperti tecnici, si spostano continuamente da un luogo all’altro per confrontare proposte, suggerire modifiche e sciogliere i dubbi delle due parti che non si parlano e non si parleranno faccia a faccia.
Oltre al valore simbolico, Sharm El Sheikh è stata scelta perché considerata una delle città più sicure della regione. Dopo gli attentati terroristici del 2005 che causarono 87 vittime, le autorità egiziane hanno costruito un muro di 37 chilometri intorno alla località turistica. Secondo le autorità, questa barriera “dovrebbe mettere al sicuro” un luogo che ogni anno ospita milioni di viaggiatori da tutto il mondo.