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Home » Attualità » Chi è Abu Mazen, l’uomo che negoziò a Oslo e oggi rappresenta una Palestina divisa al vertice di pace

Chi è Abu Mazen, l’uomo che negoziò a Oslo e oggi rappresenta una Palestina divisa al vertice di pace

Ecco la storia, la carriera politica e le controversie sulla sua longeva leadership senza elezioni che dura da 20 anni.
Tiziana MorgantiDi Tiziana Morganti13 Ottobre 2025
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Abu Mazen
Abu Mazen (fonte: La Repubblica)
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Mahmūd Abbās, meglio conosciuto con il nome di Abu Mazen, è una delle figure più complesse e longeve della politica mediorientale contemporanea. Nato il 26 marzo 1935 a Safad, oggi in Israele, è dal 2005 presidente dello Stato di Palestina, dell’Autorità Nazionale Palestinese e dell’Organizzazione per la Liberazione.

Il nome con cui è universalmente riconosciuto, deriva dalla tradizione araba della kunya: letteralmente significa Padre di Mazen, dal nome del suo primogenito, morto prematuramente a 42 anni per infarto. Una consuetudine, questa, che riflette l’importanza dei legami familiari nella cultura mediorientale.

Abu Mazen, leader della Palestina divisa
Abu Mazen, leader della Palestina divisa – Fonte: Il Manifesto

Per quanto riguarda la sua carriera politica, poi, questa affonda le radici negli anni della lotta per l’indipendenza palestinese. Mazen, infatti, è stato tra i fondatori di al-Fatah, l’organizzazione che avrebbe dominato la politica palestinese per decenni. Nel 1968 è entrato nel Consiglio nazionale palestinese e nel 1981 è diventato membro dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, scalando progressivamente i ranghi del movimento di liberazione.

Il momento di maggiore visibilità internazionale, però, arriva negli anni Novanta, quando ricopre il ruolo di coordinatore nei negoziati di pace più importanti della storia del conflitto israelo-palestinese. Mazen, infatti, è protagonista alla Conferenza di Madrid del 1991 e, soprattutto, agli Accordi di Oslo del 1993, che per la prima volta hanno aperto una concreta prospettiva di pace tra israeliani e palestinesi. Quell’esperienza diplomatica lo ha consolidato come figura moderata e pragmatica del panorama politico palestinese.

Nel 1996, poi assume la carica di segretario generale del Comitato Esecutivo dell’OLP, rafforzando ulteriormente la sua posizione di leadership. Mentre ne 2003, in un momento di crescenti tensioni interne, diventa primo ministro dell’Autorità Nazionale Palestinese, prima carica di questo tipo nella storia palestinese. Tuttavia, l’esperienza è destinata a durare pochi mesi: i frequenti contrasti con i gruppi più radicali e con lo stesso Yasser Arafat lo portano alle dimissioni nel settembre dello stesso anno.

La svolta definitiva arriva con la morte di Arafat nel 2004. Abbas gli succedette alla guida dell’OLP e, il 15 gennaio 2005, è eletto presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese con un mandato che avrebbe dovuto durare quattro anni. Da allora, la sua presidenza è diventata una delle più discusse del panorama internazionale, non solo per la durata, ma anche per le modalità con cui si è protratta nel tempo.

Il mandato presidenziale di Abbas è tecnicamente scaduto il 15 gennaio 2009. Tuttavia, ha continuato a esercitare le funzioni presidenziali, inizialmente prorogando unilateralmente il mandato al 2010 in base a una clausola costituzionale, e successivamente rimanendo in carica senza ulteriori elezioni. Questa situazione costituzionale anomala è stata giustificata dalle difficoltà politiche e dalla divisione territoriale della Palestina, ma ha sollevato interrogativi sulla legittimità democratica della sua leadership.

Per quanto riguarda il piano piano diplomatico, ha mantenuto una linea moderata e di dialogo, distinguendosi dai movimenti più radicali. L’8 giugno 2014, ad esempio, ha partecipato a una storica giornata di preghiera ecumenica per la pace nei giardini del Vaticano, insieme a papa Francesco, al patriarca ortodosso Bartolomeo e al presidente israeliano Shimon Peres. L’incontro ha rappresentato un momento simbolico di ricerca della pace, sebbene non si tradusse in progressi concreti nei negoziati.

Nonostante questo, però, la sua opposizione alle iniziative israeliane è stata costante. Nel gennaio 2020, in risposta al piano di pace proposto dal presidente americano Donald Trump e dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha dichiarato con fermezza che Gerusalemme non era in vendita, ribadendo la posizione palestinese sulla città santa come capitale dello Stato di Palestina.

E oggi, a quasi novant’anni, sarà a Sharm el-Sheikh per il vertice di pace dopo la fine delle ostilità a Gaza, con successiva liberazione degli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas dopo la strage del 7 ottobre 2023. Anche dalla sua voce passeranno le rivendicazioni del popolo palestinese.

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