I vermocane, detti anche verme cane, verme di fuoco o vermi di mare, sono appunto dei pericolosi vermi marini erranti. Sono voraci, possiedono degli aculei velenosi e hanno la capacità di riprodursi quando vengono spezzati. Una vera minaccia per l’ecosistema marino, soprattutto ora che si stanno moltiplicando nei mari di Puglia, Calabria e Sicilia.
Sono lunghi in media fra 20 e 30 centimetri e molto colorati. Sono appunto dotati di setole con tossine urticanti che provocano gonfiore e prurito (più o meno come il contatto con le ortiche). Nel caso si venisse colpiti in zone in cui la pelle è spessa il fastidio è limitato. Altrimenti il dolore è ancora più pungente. E nei casi peggiori si può avere un intorpidimento degli arti, curabile con cortisone.

Come mai si stanno diffondendo con così grande rapidità? La risposta è la stessa che si dà quando si parla di fenomeni del genere (non ultimo, il gambero rosso della Louisiana): il cambiamento climatico che ha innalzato la temperatura dei mari. Come detto, i vermocane rappresentano un elemento di disturbo poiché si nutrono di specie marine anche rare, come i coralli. Ma anche di semplici pesci, con conseguenze difficili per i pescatori.
Al momento, a Panarea e a Milazzo, è attiva una task force di esperti, composta da biologi del laboratorio che l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (Ogs) di Trieste.
L’Hermodice carunculata, fanno sapere, è una specie endemica del Mediterraneo. In passato la loro popolazione era sotto controllo, ma ora gli argini si sono rotti e i vermocane mangiano di tutto. “Capita di trovarli anche fino a riva“, spiega la dottoressa Michela D’Alessandro, che con i colleghi dell’Ogs Valentina Esposito e Marco Graziano sta studiando questa specie.