Alessia Pifferi, 38 anni, dalle cronache è stata definita come la mamma assassina di Ponte Labro. La donna, infatti, è stata condannata all’ergastolo per aver lasciato morire la figlia di 18 mesi di stenti. Nel luglio del 2022 abbandona per una settimana la piccola Diana nel suo lettino con un solo biberon. Ma questo evento drammatico è solo la punta di un iceberg ancora più terribile. La bambina, infatti, è stata partorita in un bagno, praticamente sconosciuta ai servizi sociali, mai registrata presso un pediatra, senza nessun tipo di vaccino e estranea a qualsiasi asilo nido.
Nonostante questo, però, Alessia Pifferi ha più volte dichiarato di aver desiderato questa figlia, di cui non ha mai rivelato il nome del padre. Peccato, però, che i doveri della maternità le toglievano spazio per se stessa. Lo stesso di cui ha deciso di riappropriarsi nell’estate del 2022 per andare a trovare il suo fidanzato a Leffe.
Il caso giudiziario
Stando all’autopsia la piccola Diana è morta di disidratazione. Nel suo lettino sono stati trovati un biberon di latte da 130 millilitri e una bottiglietta d’acqua baby da un quarto di litro. Quando sono sopraggiunti i soccorritori Alessia ha ammesso immediatamente di aver lasciato la figlia da sola per sei giorni. Quello che sconcerta, oltre l’idea di poter affidare a se stessa una figlia di 18 mesi, è anche un altro particolare.
Durante quella settimana, infatti, la Pifferi ha fatto ritorno a Milano con il compagno per sostenere un colloquio di lavoro. Un’occasione che, però, non l’ha spinta a ritornare a casa per assicurarsi della sopravvivenza della figlia. A peggiorare ulteriormente il quadro, poi, la confessione di aver attuato questa tecnica dell’abbandona già altre volte in occasione di week end. A fare la differenza, questa volta, è stata la tempistica.
Il quadro psicologico di Alessia Spifferi
Durante il processo sembrano essere emersi dei particolari psicologici della donna peculiari. La stessa Alessia, infatti, si è definita una bambina invisibile, abituata ad abitare un mondo di adulti e a non avere troppi contatti con i ragazzi della sua età. Un evento per lei traumatico sembra essere stato la morte del padre nel 2009, cui fa eco un rapporto contrastante con la madre e la sorelle. Le stesse che, sempre secondo Alessia, non l’hanno sostenuta troppo nel suo ruolo di madre. Stando a quanto raccontato allo psicologo di San Vittore, infatti, la piccola Diana veniva affidata poche volte alle cure della zia e della nonna.
La nuova strategia difensiva, dunque, ha puntato a descriverla come una persona con un grave ritardo mentale e con un quoziente intellettivo apri a quello di una bambina di 7 anni. A questo si aggiunge anche il giudizio del perito Elvezio Pirfo. secondo cui la 38enne ha sintomi di alessitimia, di cui vi avevamo parlato qui, ma non è una malata psichica.
La reazione della famiglia
Di opinione completamente diversa è la sorella Viviana, che non ha rapporti con Alessia da anni. Dal suo punto di vista la donna è essenzialmente una manipolatrice che tende ad attribuire sempre le colpe ad altri o a situazioni per il modo in cui vive e le vicissitudini che si trova a fronteggiare.
Fin dai primi giorni d’indagine le considerazioni di Viviana sono state fondamentali per ricostruire la serie di bugie raccontate da Alessia. Come, ad esempio, l’organizzazione del presunto battesimo della piccola solo per ricevere i regali. O ancora quando ha sostenuto di lasciare la figlia con la babysitter o al mare con la sorella mentre lei trascorreva i weekend con il compagno a Bergamo.
Chi è il padre della bambina?
Sulla paternità di Diana non si sa praticamente nulla. La stessa Pifferi non ha mai svelato il nome dell’uomo. Di sicuro non si tratta dell’ultimo compagno. Secondo la sorella Viviana, infatti, avevano riallacciato i rapporti solo da poco. Ciò che non aiuta nell’identificazione del padre, poi, è la vita movimentata condotta da Alessia. Gli investigatori della Mobile, infatti, hanno analizzato immagini e chat del cellulare della Pifferi. Qui hanno scoperto messaggi con altri uomini con cui ha avuto incontri a pagamento ma, soprattutto uno dal contenuto equivoco, sul quale è aperto un fascicolo per pedopornografia.