Il Caso Yara – Oltre ogni ragionevole dubbio, di Gianluca Neri, Carlo Gabardini ed Elena Grillone, è già tra le miniserie di Netflix più viste. Nei 5 episodi del programma gli autori hanno mostrato tutto quello che non quadrerebbe nella vicenda processuale di Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo in tre gradi di giudizio, per aver ucciso la giovane Yara Gambirasio il 26 novembre del 2010. Tante le prove che hanno inchiodato il muratore di Mapello. Eppure, secondo quanto proposto da Neri, Gabardini e Grillone, qualcosa non torna. Vediamo punto per punto i lati oscuri della vicenda, senza ovviamente esprimere giudizi.
Secondo quanto mostrato dagli autori, non sarebbero state interrogate due persone che avrebbero potuto essere per così dire sospettate. Si tratta del custode della palestra di Yara, Valter Brembilla (ascoltato solo come testimone). E dell’insegnante di ginnastica di Yara, Silvia Brena, il cui DNA era presente sul giubbotto della ragazza.
Un’altra pista non sarebbe stata esplorata a dovere, quella degli imprenditori Locatelli, legati al narcotraffico. Fulvio Gambirasio avrebbe testimoniato contro di loro e quindi la morte di Yara avrebbe potuto essere connessa a questo.
Nelle fasi iniziali delle indagini, poi, sono stati usati dei cani molecolari provenienti dalla Svizzera. Degli animali specializzati a individuare specifiche molecole per individuare una persona. I cani si sono diretti verso un cantiere del centro commerciale, proprio dei Locatelli. Dove però Bossetti non lavorava.
La prova regina che ha inchiodato Bossetti, la presenza di DNA nucleare sugli slip di Yara, non è completo, manca quello mitocondriale. Secondo il genetista di fama mondiale Peter Gill, chiamato come esperto dalla difesa, c’era per forza il mitocondriale di una terza persona.
A proposito di DNA, il pubblico ministero Letizia Ruggeri ha sempre sostenuto che non ci fossero campioni di materiale genetico su cu rifare il test, come chiesto dalla difesa di Bossetti. Al momento è indagata per frode processuale e depistaggio. Non solo i campioni erano presenti, ma sono stati fatti deteriorare.
Altro elementi non chiaro è il fatto che il video del camioncino bianco di Bossetti davanti alla palestra di Yara (altra prova importante per mostrare che Bossetti fosse lì in quel momento) sia stato rimontato dai Carabinieri per la stampa. Ciò alimenterebbe il dubbio che il caso sia stato montato ad arte per trovare un colpevole.
Secondo gli avvocati Bossetti, poi, mancherebbe un reale movente all’omicidio.
Questi, in sintesi, i punti mostrati dalla miniserie. Che è stata duramente criticata da chi ha seguito il caso come Roberta Bruzzone e Laura Marinaro, autrici del libro Yara – Autopsia di un’indagine, che parlano di “Occasione persa”. Spiega Laura Marinaro ad ANSA:
“C’è veramente ancora qualcosa da dire sul caso di Yara Gambirasio? Ha davvero senso dare la parola a chi ha brutalmente assassinato una bambina per placare i suoi torbidi appetiti? Ci sono davvero ‘ragionevoli dubbi’ sulla colpevolezza di Massimo Giuseppe Bossetti (come tentano vanamente e insistentemente di farci credere)? La risposta a questi tre quesiti è sempre inesorabilmente la stessa e non cambierà mai: No“.
Sulla stessa lunghezza d’onda, la giornalista del Corriere della Sera Fiorenza Sarzanini, che ha seguito il caso e che è stata autrice per Sky Crime del documentario, Yara. Interpellata da Vanity Fair ha detto:
“Questa serie racconta invece Bossetti, ed è legittimo voler dimostrare l’innocenza di una persona, per carità. Tuttavia non c’era solo quella prova: c’è tutto un impianto indiziario che la sostiene, per cui, dopo tre gradi di giudizio, Bossetti è stato condannato in via definitiva all’ergastolo“.