L’ONU ha sancito per il 26 giugno la Giornata internazionale a sostegno delle vittime di tortura perché in questo giorno, nel 1987, entrava in vigore la “Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti”.
Proprio nella convenzione si dà un concetto molto chiaro di tortura. Essa è:
“Qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso, o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito“
La tortura, dunque, è strettamente connessa con l’esercizio di un potere dispotico e violento. Che fa ricorso a questo terribile espediente per limitare l’azione dei dissidenti politici, per esempio. O per reprimere nel sangue qualsiasi tipo di manifestazione del proprio pensiero.
Ricordiamo che l’attuazione della Convenzione da parte degli Stati è monitorata da un organismo di esperti indipendenti, il Comitato contro la tortura.
Sono 173 i Paesi che hanno firmato la Convenzione, ma di questi solo 108 hanno una legge per punire questo reato.
Per esempio, Bulgaria, Danimarca, Germania, Islanda, Monaco, Polonia, San Marino, Svezia e Ungheria, non hanno nel loro ordinamento un reato specifico. Mentre in Germania, Svezia e Svizzera la tortura è perseguita come reato universale.
In Italia, il Codice Penale ha introdotto il reato di tortura solo nel 2017 con la legge 110. E gli articoli 613 bis e 613 ter. A questo si arrivò dopo la reprimenda rivolta alle nostre forze dell’ordine, per i fatti della scuola Diaz, nella caserma di Bolzaneto, durante il G8 di Genova del 2001. La Corte di Strasburgo, infatti, condannò l’Italia perché la sua legislazione era inadeguata a punire e prevenire gli atti di tortura commessi dalla polizia.
Le pene prevedono il carcere da 4 a 10 anni, che salgono da 5 a 12 anni se ad aver commesso il reato è un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio. Le pene aumentano anche a seconda della gravità delle lesioni delle vittime.