Donatien Alphonse François, noto come Marchese de Sade, fu un autore tanto discusso quanto influente. Se da un lato la sua vita fu segnata da scandali, arresti e accuse di violenze, dall’altro la produzione letteraria e il suo pensiero lo hanno reso una figura chiave nella storia della libertà d’espressione. Il suo nome, inoltre, ha dato origine al sadismo, parafilia che indica il piacere derivato dall’infliggere dolore o umiliazione agli altri, in un contesto sessuale (ma non solo). Era un criminale irrecuperabile o un genio incompreso? La risposta dipende da come si interpreta il suo lascito.

Nato a Parigi il 2 giugno del 1740, sotto il segno dei Gemelli, in una famiglia aristocratica legata ai principi di Condé (ramo della famiglia reale francese, discendenti dai Borbone), de Sade ricevette un’educazione di alto livello e intraprese una carriera militare. Nel 1763 sposò Renée-Pélagie de Montreuil, figlia di un’importante famiglia borghese, ma il matrimonio non lo trattenne dall’inseguire i propri desideri. Le sue inclinazioni lo portarono a frequenti incontri con prostitute e a episodi di abusi che lo condussero ripetutamente in prigione. Una delle quali, il 13 febbraio 1777, nel castello di Vincennes. Nel 1768 la vicenda di Rose Keller, una mendicante che dichiarò di essere stata torturata e seviziata da lui, fu il primo grande scandalo pubblico.
De Sade attirò nella sua residenza la ragazza con la promessa di un lavoro. Una volta lì, la segregò e la sottopose a violenze fisiche, infliggendole ferite che lei stessa mostrò ai vicini dopo essere riuscita a fuggire. De Sade fu arrestato e incarcerato nella fortezza di Pierre-Encise, vicino Lione. Tuttavia, grazie ai suoi legami e alle pressioni della sua famiglia, fu liberato dopo pochi mesi.
Nel 1772 fu condannato a morte in contumacia per aver somministrato un potente afrodisiaco, la “mosca spagnola”, a delle prostitute a Marsiglia. Evitò l’esecuzione fuggendo in Italia, ma fu infine catturato e imprigionato più volte nei decenni successivi. Fino all’ultima detenzione, nel manicomio di Charenton, dove morì nel 1814.
Fu proprio durante le varie prigionie che de Sade scrisse i suoi romanzi più celebri. Le 120 Giornate di Sodoma, redatto su un rotolo di carta lungo 12 metri mentre era alla Bastiglia, è una delle opere più estreme della letteratura erotica e filosofica. Fece discutere anche Justine o le disavventure della virtù, scritto nel 1791,in cui raccontava la storia di una giovane donna che, nonostante seguisse i principi della virtù, subiva una serie di sventure e abusi. I suoi libri, spesso ambientati in mondi dominati dalla corruzione e dal potere assoluto, esplorano il lato più oscuro della natura umana, ribaltando i valori morali e religiosi del tempo.
La sua produzione lo rese una figura scomoda, tanto che Napoleone Bonaparte lo fece incarcerare nel 1801, definendo i suoi scritti “abominevoli”. Eppure, nel corso del XX secolo, intellettuali e artisti iniziarono a rivalutare de Sade. Simone de Beauvoir si interrogò sulla necessità di “bruciarlo” o comprenderlo, mentre artisti come Man Ray e Pier Paolo Pasolini lo trasformarono in un simbolo della libertà di espressione contro i totalitarismi.