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Home » Cultura » Licenziamento per giusta causa: perché non perdi il TFR ma rischi di perdere molto altro

Licenziamento per giusta causa: perché non perdi il TFR ma rischi di perdere molto altro

Licenziamento per giusta causa, ecco cos'è, perché mantieni il TFR e la Naspi ma perdi preavviso e indennità.
Francesca FiorentinoDi Francesca Fiorentino2 Ottobre 2025
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persona con valigetta
persona con valigetta (fonte: Unsplash)
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Il licenziamento per giusta causa rappresenta la forma più grave di interruzione del rapporto di lavoro prevista dal nostro ordinamento. Si tratta di una misura estrema che il datore di lavoro può adottare quando il dipendente commette comportamenti gravemente lesivi degli interessi aziendali, talmente gravi da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto lavorativo, anche solo provvisoriamente. Come avvenuto ad Enrico Varriale, il cui contratto è stato risolto per giusta casa dalla Rai, come abbiamo raccontato qui.

Questa forma di licenziamento è regolamentata dall’articolo 2119 del Codice Civile, che stabilisce la possibilità per entrambe le parti di recedere dal contratto senza preavviso qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione del rapporto. La caratteristica distintiva rispetto ad altre forme di interruzione del rapporto lavorativo è proprio l’immediatezza: il licenziamento per giusta causa è immediato e non richiede alcun periodo di preavviso.

Ma quali sono esattamente le conseguenze per il lavoratore? E cosa comporta davvero questo provvedimento dal punto di vista economico e professionale? Contrariamente a quanto molti credono, non tutte le conseguenze sono negative, e alcune tutele rimangono in vigore anche in questa situazione estrema.

La prima conseguenza diretta del licenziamento per giusta causa è la perdita dell’indennità di preavviso, quella somma che normalmente spetterebbe al lavoratore per compensare il mancato periodo di lavoro tra la comunicazione del licenziamento e l’effettiva cessazione del rapporto. Quando sussiste una giusta causa, il datore di lavoro non è tenuto a corrispondere questa indennità, proprio perché la gravità del comportamento del dipendente giustifica l’interruzione immediata.

Inoltre, viene meno anche l’indennità di licenziamento, una tutela economica aggiuntiva prevista in alcuni contratti collettivi. Questo significa che il lavoratore licenziato per giusta causa subisce un danno economico immediato, perdendo somme che in condizioni normali gli sarebbero spettate.

Tuttavia, c’è un diritto che rimane intatto anche in caso di licenziamento per giusta causa: il Trattamento di Fine Rapporto. Il TFR spetta al lavoratore alla conclusione del rapporto di lavoro qualunque sia la ragione per cui esso termina, compreso il licenziamento per giusta causa. Si tratta di un accantonamento maturato durante gli anni di servizio che appartiene al lavoratore per legge e che l’azienda non può trattenere, indipendentemente dalle motivazioni della cessazione del rapporto.

una statua che rappresenta la giustizia
Una statua che rappresenta la giustizia (fonte: Unsplash)

Ma quali sono i comportamenti che possono portare a un licenziamento per giusta causa? La normativa individua diverse tipologie di condotte che minano alla radice il rapporto di fiducia tra datore di lavoro e dipendente. Il furto o il danneggiamento di beni aziendali, anche di modico valore, rappresenta una delle violazioni più gravi: appropriarsi di proprietà dell’azienda tradisce in modo inequivocabile la fiducia riposta nel lavoratore e compromette gli interessi economici dell’impresa.

Gli atti di violenza o comportamenti intimidatori verso colleghi o superiori costituiscono un’altra causa di licenziamento immediato. Questi comportamenti creano un clima di paura e ostilità che mette a rischio la sicurezza e la serenità di tutti i dipendenti, rendendo impossibile la convivenza lavorativa.

L’insubordinazione, intesa come rifiuto esplicito di eseguire ordini legittimi o comportamenti verbali aggressivi verso i superiori, mina l’autorità gerarchica e compromette il funzionamento organizzativo dell’azienda. Anche la diffamazione dell’azienda, attraverso la diffusione di informazioni false o denigratorie, può arrecare gravi danni all’immagine e alla reputazione aziendale, con conseguenze che si estendono ai rapporti con clienti e partner commerciali.

Un caso particolare, che negli ultimi anni ha visto un aumento delle contestazioni, riguarda l’uso scorretto dei permessi previsti dalla Legge 104/92. Utilizzare questi permessi, concessi per assistere familiari con disabilità, per attività personali non legate all’assistenza rappresenta una violazione grave dell’obbligo di buona fede contrattuale e può portare non solo al licenziamento ma anche a conseguenze legali per il lavoratore.

L’assenza ingiustificata dal lavoro, specialmente se reiterata, interrompe il normale svolgimento delle attività aziendali e causa disagi organizzativi. Quando non comunicata né autorizzata, rappresenta una mancanza di rispetto verso l’azienda e i colleghi che può configurare una giusta causa di licenziamento.

Prima di procedere con un licenziamento per giusta causa, il datore di lavoro deve verificare attentamente che i fatti contestati al dipendente siano realmente esistenti e deve valutare se sia opportuno procedere prima con sanzioni disciplinari meno gravi, come un richiamo scritto o una sospensione. La proporzionalità tra la sanzione e la gravità della condotta è infatti un elemento fondamentale che il giudice del lavoro valuterà in caso di contestazione.

Ed è proprio la possibilità di fare opposizione uno degli aspetti più importanti da conoscere. Il dipendente licenziato per giusta causa può impugnare il provvedimento presentando ricorso presso il tribunale del lavoro entro 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento. Il giudice valuterà sia la sussistenza effettiva dei fatti addebitati al dipendente sia la proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità dei comportamenti contestati.

Il licenziamento per giusta causa lascia traccia nel proprio cursus honorum? La risposta è rassicurante: le motivazioni del licenziamento non vengono registrate in alcun archivio ufficiale e non sono riportate nemmeno nella scheda professionale tenuta dal centro per l’impiego. L’azienda che assume non può richiedere il certificato penale del candidato per verificare se sia stato licenziato per motivi legati alla commissione di reati, salvo che questa possibilità non sia espressamente prevista dal contratto collettivo nazionale di riferimento.

Per quanto riguarda il diritto alla Naspi, l’indennità di disoccupazione introdotta per tutti gli eventi di disoccupazione involontaria, la buona notizia è che spetta anche in caso di licenziamento per giusta causa. La Naspi viene infatti riconosciuta ai lavoratori che hanno involontariamente perso il loro impiego, e il licenziamento per giusta causa rientra in questa categoria, a differenza delle dimissioni volontarie.

Per ottenere la Naspi è necessario essere in possesso di tre requisiti fondamentali: la perdita involontaria del lavoro, un requisito contributivo di almeno 13 settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti alla cessazione del rapporto di lavoro, e un requisito lavorativo di almeno 30 giornate di lavoro effettivo negli ultimi 12 mesi precedenti allo stato di disoccupazione.

È importante distinguere il licenziamento per giusta causa dal licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Mentre la giusta causa riguarda gravi violazioni contrattuali imputabili al comportamento del lavoratore, il giustificato motivo oggettivo si riferisce a cause esterne alla volontà del dipendente, come la riduzione dell’organico aziendale o la riorganizzazione produttiva. Le conseguenze economiche e procedurali delle due tipologie di licenziamento sono sostanzialmente diverse, con il giustificato motivo oggettivo che prevede il diritto al preavviso e alle relative indennità.

 

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