Lo pronunciamo decine di volte al giorno, in modo naturale e automatico, senza farci caso. Eppure dietro la parola “Ciao“, il saluto informale italiano per eccellenza, si nasconde una storia linguistica davvero sorprendente che affonda le sue radici nel territorio veneziano e in un’espressione di sottomissione che oggi suonerebbe del tutto fuori luogo.
La risposta alla domanda su cosa significhi davvero “ciao” ci porta indietro nel tempo, almeno al XV secolo, quando nel territorio della Serenissima Repubblica di Venezia le persone cominciarono a salutarsi utilizzando la parola “schiavo”, pronunciata in dialetto veneto come s’ciavo. Non si trattava di un riferimento letterale alla schiavitù, ma di una formula di cortesia equivalente a “sono vostro schiavo” o, in termini più comprensibili, “sono al vostro servizio”.
Questa forma di saluto ossequioso non era affatto insolita per l’epoca. Pensate che espressioni simili sono sopravvissute fino ai giorni nostri in altre lingue europee: nella Germania meridionale, per esempio, ci si saluta ancora in modo informale dicendo “Servus“, che è proprio la parola latina per “schiavo” o “servo”. Si tratta di formule che esprimevano disponibilità, rispetto e deferenza verso l’interlocutore, comuni nelle società gerarchiche del passato.
Con il passare dei secoli e l’evoluzione naturale della lingua parlata, l’espressione veneziana s’ciavo subì una progressiva contrazione fonetica. La parola si trasformò prima in s’ciao, perdendo la sillaba centrale, e infine nell’attuale ciao. Questo processo linguistico, tipico dell’italiano e dei suoi dialetti, permise al saluto di diffondersi ben oltre i confini del Veneto, conquistando inizialmente il Nord Italia e poi l’intera penisola, con alcune variazioni e adattamenti locali.

Ma l’avventura di “ciao” non si ferma all’Italia. Oggi questo saluto è riconosciuto e utilizzato in numerose parti del mondo, testimonianza dell’influenza culturale italiana e della facilità di pronuncia della parola. In Spagna si dice chao, in Portogallo tchau, mentre in molti altri paesi il termine italiano viene usato così com’è, spesso associato a un’idea di informalità e simpatia tipicamente mediterranea.
Se vogliamo scavare ancora più a fondo nell’etimologia, dobbiamo fare un ulteriore salto indietro. La parola schiavo da cui deriva ciao proviene infatti dal latino medievale sclavum o slavum, che significava letteralmente “prigioniero di guerra slavo”. Questo perché durante il Medioevo molti prigionieri e schiavi provenivano dalle popolazioni slave dell’Europa orientale, tanto che il nome del gruppo etnico divenne sinonimo della condizione di schiavitù stessa. Si può quindi dire, con una certa approssimazione ma fondamento storico, che “ciao” origini dalla parola “slavo”.
È affascinante pensare che un termine nato per esprimere sottomissione e servizio si sia trasformato, attraverso secoli di uso quotidiano e semplificazione linguistica, nel più informale, amichevole e democratico dei saluti. Oggi quando diciamo “Ciao” non stiamo certo dichiarando la nostra disponibilità a servire qualcuno, ma semplicemente esprimendo cordialità e vicinanza, in un gesto comunicativo che ha completamente perso le sue connotazioni originarie.
La prossima volta che saluterete qualcuno con un semplice “Ciao”, ricordatevi che state pronunciando una parola che porta con sé quasi sei secoli di storia, che ha attraversato trasformazioni sociali epocali e ha viaggiato dalla laguna veneziana fino agli angoli più remoti del pianeta, diventando uno dei simboli linguistici più riconoscibili dell’italianità nel mondo.



