San Martino è una delle poesie più note di Giosuè Carducci. Scritta in tre ore, l’8 dicembre del 1883, è una sorta di ode all’11 novembre e al giorno di San Martino che, tradizionalmente, coincide con la maturazione del vino. L’autore racconta di una giornata nebbiosa in cui la bruma, salendo al cielo, lascia una leggera pioggia. E mentre il mare è tempestoso, per le strade del borgo si sente l’odore del mosto che poi diventerà vino. In questo quadro idilliaco e festoso, c’è anche una figura umana, quella di un cacciatore. L’uomo guarda il cielo in cui volano uccelli neri. Quell’immagine fa da contraltare all’allegria dei primi versi, proponendo invece un momenti di riflessione malinconica.
Oltre ad aver tormentato milioni di studentesse e studenti d’Italia, San Martino di Giosuè Carducci, Nobel per la letteratura nel 1906, è passata alla storia anche per essere diventata nel 1993 una canzone cantata da Fiorello, con un mix di Fargetta. Il brano finì nell’album Spiagge e lune che godette del successo epocale del Karaoke.
San Martino
La nebbia a gl’irti
colli piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;
ma per le vie del borgo
dal ribollir de’ tini
va l’aspro odor de i vini
l’anime a rallegrar.Gira su’ ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
su l’uscio a rimirar
tra le rossastre nubi
stormi d’uccelli neri,
com’esuli pensieri,
nel vespero
migrar.