È stato lo scandalo più roboante e “pericoloso” dopo quello del Watergate. L’unico in grado di mettere in pericolo non solo la reputazione dei diretti interessati, ma soprattutto, la democrazia e la presidenza degli Stati Uniti. Questa volta, però, alla base non c’erano fondi elettorali e manomissioni dell’iter elettivo. A conquistare le prime pagine del giornali in quella fine estate del 1998 è stato niente meno che il sexgate con protagonisti l’allora Presidente Bill Clinton e la stagista Monica Lewinsky.
Tutto ha inizio nel 1995. In quell’anno la giovane Monica, dopo aver ottenuto il suo diploma al college, decide di trasferirsi a Washington D.C. con l’incarico di stagista non retribuita alla Casa Bianca. Un’occasione importante che le potrebbe aprire le porte per una promettente carriera nel mondo politico ma che, in realtà, per molto tempo la posizionerà al centro di uno dei più potenti tornado mediatici.
In quell’occasione, infatti, conosce e stringe rapporti personali con il presidente, dando inizio ad una relazione e degli incontri nel suo ufficio ovale. Ma com’è venuto tutto alla luce? A creare il caso sono state alcune registrazioni a circuito chiuso all’interno della Casa Bianca e quelle di una lunga telefonata tra la Lewinsky alla sua amica Linda Tripp, del Dipartimento della Difesa.
Le due s’incontrano nel 1996 ma le prime confidenze vengono registrate un anno dopo. Questi nastri, all’interno dei quali, ad esempio, è contenuta la confessione della Lewinsky di aver fatto sesso orale con il Presidente, vengono consegnati dalla Tripp al procuratore Starr. Nello stesso periodo, poi, la giornalista Paula Jones, accusa Clinton di molestie ai tempi in cui era governatore dell’Arkansas.
La prova del DNA
Due elementi, dunque, utili per rendere totalmente nulle le dichiarazioni di estraneità rispetto ai fatti rilasciate da Clinton e dalla stessa Lewinsky. Per portare, però, un presidente degli Stati Uniti di fronte al gran giurì è necessario avere delle prove incontrovertibili. Quella più famosa è, senza alcun dubbio, l‘analisi del DNA effettuata sul vestito blu di Monica dove è stato possibile evidenziare traccia dei rapporti intimi con il Presidente. A quel punto, dunque, Clinton non può più negare il suo coinvolgimento e, con una testimonianza lunga quattro ore, ammette di aver avuto “contatti intimi inappropriati” con la sua giovane stagista. Il 17 agosto 1998, poi, si rivolge direttamente alla nazione confessando quella relazione per tanto tempo negata.
A questo punto, però, è doveroso porre una domanda: per quale motivo un evento privato come una relazione extraconiugale dovrebbe minare la presidenza? I motivi sono diversi e sono tutti rintracciabili nel concetto di morale e di etica insito nella società americana. Per prima cosa, ricordiamo che ci si trova di fronte ad un ambiente culturale piuttosto vario e tendenzialmente puritano che pretende un comportamento irreprensibile da parte dei suoi rappresentati. O quanto meno la capacità di mantenere tutto il più celato possibile.
Nel caso specifico di Clinton, però, a definire le basi per l’impeachment non è il sesso o il tradimento, quanto le imputazioni di spergiuro e ostruzione di giustizia. Il Presidente, infatti, ha sempre negato, giurando, ogni coinvolgimento con la Lewinsky fino a quando l’evidenza non l’ha costretto a confessare.
Il 19 dicembre 1998, dunque, Clinton è formalmente sotto processo. Un percorso che si concluderà piuttosto velocemente il 2 febbraio 1999 con una assoluzione dei capi d’accusa.
L’assoluzione
Ma com’è stato possibile, viste le prove evidenti, ottenere una piena assoluzione? In quei giorni caotici la Casa Bianca, compresa Hillary Clinton, ha cercato di salvare il secondo mandato della presidenza in tutti i modi. Uno di questi, ad esempio, ha scomodato addirittura il Talmud, chiedendo il parere della professoressa di Dartmouth, Susannah Heschel.
Questa riesce a lanciare un vero e proprio salvagente a Clinton dichiarando che, secondo la legge ebraica, un uomo commette adulterio solamente quando ha un rapporto sessuale completo con un’altra donna sposata. Dal punto di vista della professoressa, dunque, il presidente poteva essere incolpato, al massimo, di onanismo. Una dichiarazione che Clinton ha sfruttato non per tirarsi fuori dall’innegabile rapporto con la Lewinsky, ma per liberarsi dall’accusa di spergiuro e falsa testimonianza.
In questo modo, infatti, ha sostenuto la sua buona fede nell’aver dichiarato di non aver avuto un rapporto sessuale con la sua stagista. Ed ecco che, con un gioco di parole degno di uno dei sofisti più raffinati è riuscito a salvare la sua presidenza e ad ispirare uno degli incipit letterari più efficaci di tutti i tempi. Il suo sexgate, infatti, rappresenta il punto di partenza de La macchia umana, il romanzo con cui Philip Roth si addentra nella falsità morale della società americana e, soprattutto, nella caducità umana.
Che fine ha fatto Monica Lewinsky
A pagare il prezzo più alto in questa storia, dunque, è stata la stessa Lewinsky che, dopo aver attirato l’attenzione mediatica su di sé, si vede chiudere qualsiasi tipo di porta nell’ambito politico. Per vivere la sua effettiva rinascita ha dovuto attendere diversi anni e cambiare completamente ambito professionale. Oggi, infatti, è diventata una produttrice televisiva, com’è possibile scoprire più nel dettaglio qui. Quell’esperienza, però, sembra destinata a non abbandonarla mai completamente.