Va in onda a partire da oggi su Sky Documentaries e Now Mauro Rostagno. L’uomo che voleva cambiare il mondo, la docuserie in due parti prodotta da Sky Original e Palomar in cui Roberto Saviano ci porta alla scoperta di una delle figure più sottovalutate in materie di lotta alla mafia: Mauro Rostagno, sociologo, attivista, giornalista e grande comunicatore, tragicamente ucciso da Cosa Nostra a soli 46 anni.
Mauro Rostagno nasce a Torino nel 1942 da due dipendenti Fiat. Non riesce subito a conseguire il diploma liceale poiché a 18 anni si sposa e ha una bambina, ma poco dopo lascia entrambi per andare prima in Germania e poi in Inghilterra, dove svolge lavori saltuari per mantenersi; riesce a diplomarsi a Milano e parte nuovamente per la Francia, dalla quale verrà però espulso poco dopo per la sua partecipazione a una protesta giovanile. Con il sogno di diventare giornalista, inizia a frequentare la facoltà di Sociologia dell’Università di Trento; milita anche nel PSIUP e porta avanti varie manifestazioni studentesche, tra cui l’occupazione della facoltà nel 1966.
Rostagno diventa ben presto una figura di riferimento del Sessantotto italiano, prendendo parte a ulteriori proteste e scontri con le forze dell’ordine e gli esponenti del MSI; egli è però profondamente non violento, e in aperta polemica con le posizioni più radicali di alcuni suoi colleghi (come Renato Curcio e Margherita Cagol, che fonderanno in seguito le Brigate Rosse) nel 1969 contribuisce a fondare il movimento di Lotta Continua. Si laurea l’anno dopo in Sociologia e dopo qualche anno di ricerche al CNR ottiene l’incarico di assistente universitario a Palermo, che svolge per 3 anni; conosce anche Elisabetta “Chicca” Roveri, che diventerà sua compagna di vita per tutti gli anni a venire.
Nel frattempo egli continua a partecipare alle attività di Lotta Continua in qualità di responsabile regionale, e per pochi voti non diventa deputato di Democrazia Proletaria alle elezioni del 1976. Quello stesso anno Lotta Continua viene sciolto e Rostagno, tornato a Milano, fonda poco dopo un centro culturale dal nome di Macondo (come il villaggio in cui è ambientato Cent’anni di solitudine di Marquez). Inizialmente destinato a diventare un punto di ritrovo e di riferimento per tutti i disillusi dalla “nuova sinistra”, Macondo ha invece vita breve: in seguito a denunce da parte degli abitanti del quartiere per presunti traffici di droga, Rostagno viene arrestato e incarcerato per qualche giorno; al suo rilascio, nonostante la sua importanza culturale e sociale, Macondo viene chiuso.
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Nel 1979 Rostagno intraprende con Chicca e la loro figlia Maddalena un viaggio in India, affascinato dagli insegnamenti di Shree Rajneesh (in seguito Osho) i cui libri aveva letto avidamente in prigione. La famiglia trascorre due anni presso il suo ashram (comunità) a Puna, ma quando il guru decide di trasferirlo in Oregon, negli Stati Uniti, Rostagno (assunto dal suo maestro il nome di Swami Anand Sanatano, “eterna beatitudine”) decide di tornare in Italia e fondare una sua comunità: si tratta di Saman, centro creato insieme a Francesco Cardella nel baglio di Lenzi (vicino Trapani) che quest’ultimo gli mette a disposizione. Saman diventa ben presto una struttura di recupero per tossicodipendenti, con metodi terapeutici basati sulla meditazione indiana e su una forte rete sociale di supporto.
Nel 1986 Giuseppe Puccio Bulgarella, editore dell’emittente locale Radio Tele Cine (RTC), contatta Rostagno per una collaborazione incentrata sul reinserimento sociale di alcuni ex tossicodipendenti, dandogli la possibilità di realizzare il suo sogno di diventare giornalista: in poco tempo egli passa da ospite a opinionista ricorrente, fino a diventare redattore. Egli entra sempre più a contatto con la realtà locale e le sue problematiche, affrontandole e denunciandole nei suoi servizi: dal problema dei rifiuti alla carenza d’acqua, dalla droga alla corruzione.
Le sue inchieste lo portano anche a intervistare Paolo Borsellino e Leonardo Sciascia, e a denunciare la collusione tra mafia e amministrazione locale; la sua trasmissione segue attentamente le varie fasi del processo per l’omicidio del sindaco Vito Lipari, che coinvolge i boss Nitto Santapaola e Mariano Agate. Diventato gradualmente un personaggio scomodo per la malavita locale, Rostagno viene brutalmente ucciso a poca distanza da casa, il 26 settembre 1988.
Nonostante le pressioni di politici come Craxi e Martelli, gli inquirenti esitano per lungo tempo a considerare il delitto di matrice mafiosa, concentrandosi su varie altre piste (l’ambiente di Lotta Continua, un possibile traffico di droga nella comunità di Saman e persino un collegamento con l’omicidio di Ilaria Alpi); inizia parallelamente una serie di errori, omissioni, opere di depistaggio e occultamento di prove compiuto dalle forze dell’ordine al fine di escludere qualsiasi collegamento alla mafia locale. La famiglia di Rostagno deve battersi a lungo per ricevere finalmente giustizia, e solo il 15 maggio del 2014, a 26 anni dal delitto, si arriva alla condanna dei mafiosi Vincenzo Virga e Vito Mazzara, rispettivamente mandante ed esecutore dell’omicidio.