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Home » Cultura » Storia » La maestrina dalla penna rossa di Cuore è ispirata a una persona realmente esistita? La risposta è emozionante

La maestrina dalla penna rossa di Cuore è ispirata a una persona realmente esistita? La risposta è emozionante

Ecco la vera storia della maestrina dalla penna rossa, uno dei personaggi più amati di Cuore di Edmondo De Amicis.
Francesca FiorentinoDi Francesca Fiorentino13 Aprile 2025
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Copertina dell'album delle figurine di Cuore
Copertina dell'album delle figurine di Cuore (fonte: Ciondolo a cuore)
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La “maestrina dalla penna rossa”, figura emblematica del celebre romanzo Cuore di Edmondo De Amicis, è stata a lungo considerata un personaggio simbolico. Eppure, dietro alla dolce e appassionata insegnante descritta nel libro pubblicato nel 1886, si cela una persona reale: Giuseppina Eugenia Barruero, insegnante piemontese vissuta tra il XIX e il XX secolo.

Nata nel 1859, Giuseppina Barruero iniziò la sua carriera di maestra il 15 ottobre 1886 a Volpiano, in Piemonte, dove insegnò fino al 1922, salvo una parentesi biennale a Leinì. La sua figura è stata identificata come ispirazione per il celebre personaggio anche grazie al ritrovamento di documenti storici e fotografie d’epoca, tra cui un registro scolastico del 1913-14. La scuola dove insegnava e una targa commemorativa a largo Montebello 38, a Torino, non lontano dalla Mole, dove viveva, contribuiscono oggi a mantenere viva la memoria della sua dedizione all’insegnamento. Morì il 12 aprile del 1957.

Giuseppina Eugenia Barruero
Giuseppina Eugenia Barruero (fonte: Risveglio Popolare)

La maestrina dalla penna rossa compare nel corpo principale del romanzo come giovane insegnante che lavora nella scuola torinese frequentata da Enrico Bottini. Si distingue per la sua delicatezza, il tratto affettuoso e la penna rossa appuntata al cappello, simbolo della passione e della giovinezza.

“Ma ce n’è un’ altra che mi piace pure: la maestrina della prima inferiore numero 3, quella giovane, col viso color di rosa, che ha due belle pozzette nelle guance, e porta una gran penna rossa sul cappellino e una crocetta di vetro giallo appesa al collo. È sempre allegra, tien la classe allegra, sorride sempre, grida sempre con la sua voce argentina che par che canti, picchiando la bacchetta sul tavolino e battendo le mani per impor silenzio; poi quando escono, corre come una bambina dietro all’uno e all’altro, per rimetterli in fila; e a questo tira su il bavero, a quell’ altro abbottona il cappotto perché non infreddino, li segue fin nella strada perché non s’accapiglino”.

All’epoca in cui visse la Barruero, il percorso per diventare maestra era lungo e impegnativo, soprattutto per una donna. La Legge Casati del 1859 e successivamente la Legge Coppino (1877) avevano sancito l’obbligo dell’istruzione primaria e promosso la formazione degli insegnanti. Le aspiranti maestre dovevano frequentare le Scuole Normali Femminili, istituite in ogni provincia, con corsi di durata triennale (poi quadriennale) che includevano pedagogia, lingua italiana, aritmetica, storia, geografia e morale. Dopo il diploma, si sosteneva un esame per l’abilitazione all’insegnamento elementare.

Per una donna, accedere a questi studi rappresentava non solo un traguardo professionale, ma anche un’affermazione sociale in un’epoca in cui le opportunità educative femminili erano limitate.

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