Se hai mai trascorso del tempo con un bambino in età prescolare, conosci bene la famosa raffica di domande: “Perché il cielo è blu?”, “Perché i cani abbaiano?”. Prima ancora che tu abbia finito di rispondere a una domanda, sono già pronti con la successiva. È adorabile, fino a quando non ti ritrovi a gestire la centosettesima domanda dell’ora. E no, non è un’esagerazione: uno studio ha rilevato che i bambini tra i 14 mesi e i 5 anni pongono in media proprio 107 domande ogni ora.
Ma cosa si nasconde dietro questa ossessione infantile per la parola “perché”? La risposta è più affascinante di quanto si possa pensare e rivela molto sul modo in cui si sviluppa la mente umana.
Intorno ai 2 o 3 anni, il cervello dei bambini inizia a creare nuove connessioni neuronali a una velocità straordinaria. Stanno letteralmente costruendo la loro comprensione di come funziona il mondo e, una volta scoperto che gli adulti possono fornire le informazioni che desiderano su richiesta, sfruttano questa risorsa al massimo. Chiedere “perché” li aiuta a collegare causa ed effetto, un concetto che iniziano a imparare in tenera età. È il loro modo di dire: “Aspetta, quindi se succede questo, significa che accadrà anche quello?”.

Ogni risposta che fornisci costruisce un altro mattoncino nella loro torre mentale di Lego. Non stanno semplicemente immagazzinando informazioni: stanno attivamente elaborando schemi, testando ipotesi e costruendo un modello mentale della realtà che li circonda.
I genitori a volte presumono che i bambini sparino domande su domande solo per restare al centro dell’attenzione. Ma gli psicologi sostengono che c’è molto di più. I bambini stanno genuinamente cercando di capire il mondo e le tue spiegazioni offrono loro conforto e sicurezza. Pensaci: per la maggior parte delle persone, sapere cosa aspettarsi riduce l’ansia. Lo stesso vale per i bambini. Chiedendo “”perché””, imparano a prevedere cosa accadrà nel loro universo in continua espansione, il che li aiuta a sentirsi più sicuri e fiduciosi.
A volte, il perché non riguarda affatto la risposta in sé. È un modo per condividere l’entusiasmo. Se tuo figlio vede una farfalla e chiede “Perché è arancione?”, potrebbe già avere una teoria in mente. Ma in realtà sta dicendo: “Ehi, ho notato questa cosa fantastica, la noti anche tu?”. È un invito alla connessione, un modo per coinvolgerti nella loro meraviglia.
L’incessante flusso di domande può essere estenuante, non c’è dubbio. Ma è anche il segno di una mente sana, curiosa e fantasiosa all’opera. Quello scambio continuo di domande e risposte costruisce l’autostima del bambino e rafforza il legame con l’adulto di riferimento. Favorire il loro senso di curiosità è fondamentale per lo sviluppo cognitivo ed emotivo.
Piuttosto che bloccare la raffica infinita di domande, prova a stimolarli a trovare la risposta da soli. Un semplice “secondo te perché?” può aiutare un bambino a elaborare una spiegazione autonomamente, sviluppando capacità di ragionamento critico. Fai attenzione al tuo tono e al linguaggio del corpo: per quanto possa essere frustrante rispondere alla stessa domanda più e più volte, non vuoi scoraggiare tuo figlio dall’essere curioso.
E se hai davvero bisogno di una pausa, puoi sempre dire a tuo figlio che risponderai alla sua domanda in un secondo momento. L’importante è mantenere la promessa e tornare effettivamente sull’argomento quando hai più energie.



