I vegani, ovvero coloro che, a differenza dei vegetariani, per scelta etica non mangiano tutti i prodotti animali, compresi latte e uova, sono tra le categorie umane più divisive. E non per loro decisione. Spesso il loro comportamento viene duramente criticato se non addirittura osteggiato. Nonostante lo stile di vita proposto sia in realtà all’insegna della compassione e totalmente inclusivo. Perché? Una ricerca recente ha dato una risposta chiarissima: suscitano emozioni “negative” come paura, invidia, disprezzo e rabbia.
Uno studio pubblicato su Food Quality and Preference ha coinvolto migliaia di persone in Europa, chiedendo loro di giudicare consumatori immaginari in base alla lista della spesa. Le liste erano identiche salvo un dettaglio: la presenza o meno di carne e suoi sostituti. Chi sceglieva prodotti vegetali veniva sistematicamente associato a tratti morali positivi: salutista, consapevole, ambientalista. Ma invece di ammirazione, questi giudizi suscitavano emozioni spiacevoli.

Secondo Roosa-Maaria Malila, ricercatrice dell’Università di Vaasa, in Finlandia, e autrice dello studio, si tratta di una reazione psicologica profonda. Molti sanno che ridurre il consumo di carne è meglio per salute e ambiente, ma cambiare abitudini è difficile e spesso vissuto come una perdita. Chi ha già compiuto il cambiamento diventa il simbolo di ciò che “dovremmo essere”, e quindi il bersaglio ideale della frustrazione altrui.
Lo scontro non è solo individuale, ma sociale. Il cibo è parte integrante dell’identità e dell’appartenenza a un gruppo. Mangiare carne, condividere un barbecue o una grigliata, è un rito di connessione. Rinunciarvi, o anche solo rifiutarlo, può apparire come un atto di rottura. Chi sceglie un’alternativa vegetale rischia di essere percepito come un corpo estraneo, un moralista, qualcuno che si pone “al di sopra” degli altri. Non è un caso che alcuni partecipanti abbiano dichiarato di voler escludere i vegetariani dal proprio gruppo sociale.
Il problema, dunque, non sta nella dieta in sé, ma nel suo significato simbolico. Per cambiare alimentazione serve una trasformazione culturale. Anche la comunicazione ha la sua responsabilità. Oggi molti messaggi a favore delle diete vegetali puntano sull’impatto ambientale, ma questo può risultare distante o colpevolizzante. Gli studiosi suggeriscono di spostare il focus sui benefici personali: energia, salute, benessere. In questo modo, l’adozione della dieta può essere vista non come un sacrificio, ma come un miglioramento.
L’accettazione sociale richiede un cambio sistemico. Le nuove Raccomandazioni Nutrizionali Nordiche del 2024, ad esempio, hanno suggerito di ridurre carne rossa, insaccati e sale, promuovendo frutta, verdura e cereali integrali. Ma hanno anche suscitato polemiche accese. Questo dimostra che il cambiamento, per essere duraturo, deve coinvolgere non solo le scelte individuali, ma anche le strutture sociali, dalle istituzioni alle aziende.
Lo studio, dunque, suggerisce che, per rendere la dieta vegetale più popolare, serve un restyling dell’immagine: non punire chi non cambia, ma invitare con intelligenza chi è pronto a farlo.