Se mi lasci, ti cancello? Forse un giorno sì. La notizia non è nuova, ma è tornata virale nel 2025 grazie a uno speciale di National Geographic dedicato ai misteri della memoria. Un neuroscienziato di Boston, Steve Ramirez, ha infatti lavorato su un’idea affascinante: e se fosse possibile cancellare i ricordi dolorosi o addirittura riscriverli, come nel celebre film? A oggi ci sono esperimenti scientifici reali che dimostrano che nei topi si può fare. Ed è solo l’inizio.
Steve Ramirez è uno scienziato che studia la memoria al Boston University Center for Memory and Brain. Insieme al suo team, ha condotto esperimenti pionieristici che dimostrano quanto la nostra mente sia “modificabile”. Le sue ricerche partono da un dato semplice ma cruciale: ogni volta che ricordiamo qualcosa, la riscriviamo un po’, come se usassimo “Salva con nome” in un documento Word. Questo significa che i nostri ricordi non sono fissi e immutabili, ma possono cambiare ogni volta che li ripeschiamo. Ramirez si è chiesto: possiamo usare questo meccanismo per trasformare un ricordo brutto in uno positivo? E la risposta sembra essere: sì, almeno nei topi.

La tecnica utilizzata si chiama optogenetica. Consiste nel rendere sensibili alla luce le cellule del cervello che immagazzinano ricordi. Nei suoi studi, i topi ricevevano una leggera scossa elettrica (un’esperienza negativa) mentre si trovavano in una scatola. Le cellule che registravano questo ricordo venivano poi “accese” con un laser per riattivare la memoria. Ma non è tutto: in un altro test, i ricercatori hanno creato un falso ricordo, facendo credere al topo di aver preso la scossa in un ambiente dove in realtà non era successo nulla. Così, quando il topo tornava nella scatola “sicura”, mostrava segni di paura, convinto di essere in pericolo. In pratica, la memoria era stata riscritta artificialmente.
Un altro studio coordinato da Ramirez, pubblicato nel 2019 su Current Biology, ha mostrato che si può anche modulare l’intensità emotiva di un ricordo. Il segreto è nel cervello, più precisamente in una zona chiamata ippocampo, che ha una parte “alta” e una “bassa”. Stimolando la parte bassa, i ricordi negativi diventano più intensi e angoscianti. Ma se si agisce sulla parte alta, il ricordo perde forza emotiva e fa meno male. Questo meccanismo, secondo Ramirez, potrebbe un giorno essere sfruttato per trattare disturbi come ansia, depressione o stress post-traumatico (PTSD).
Per ora, però, tutto ciò è stato testato solo nei topi. Nessun essere umano ha subito “editing dei ricordi” con queste tecniche. Inoltre, mentre nei topi si usano fibre ottiche impiantate nel cervello, negli umani eventuali trattamenti futuri sarebbero molto meno invasivi: per esempio, basterebbe stimolare il ricordo positivo con parole, immagini o suoni in un ambiente terapeutico controllato.
Gli obiettivi di questa ricerca non sono fantascientifici. L’idea è quella di aiutare chi soffre, offrendo una via per alleviare memorie troppo dolorose o per anticipare il declino cognitivo causato da malattie come Alzheimer e Parkinson. In una delle ultime ricerche (ancora in fase di revisione), il team di Ramirez sostiene persino di essere riuscito a prevedere dove si formerà un ricordo nel cervello prima ancora che si formi, come se si potesse “prevedere un fulmine prima della tempesta”.