La nuova serie Netflix di Ryan Murphy su Ed Gein, uscita appena 3 giorni fa, ha conquistato subito il primo posto nelle classifiche della piattaforma. Come nelle precedenti stagioni dedicate a Jeffrey Dahmer e ai fratelli Menendez, anche questa volta la produzione mescola liberamente fatti reali e invenzioni drammatiche. Ma dove finisce la verità e inizia la fiction in Monster: la vera storia di Ed Gein?
Partiamo dai fatti concreti. Ed Gein ha ammesso di aver ucciso solo due persone: Bernice Worden, una commerciante di 58 anni proprietaria di un negozio di ferramenta, assassinata nel 1957, e Mary Hogan, una taverniera di 54 anni, uccisa nel 1954. Entrambe le vittime somigliavano a sua madre Augusta, un dettaglio che Gein stesso ha confermato agli investigatori. Nella sua casa furono ritrovati resti umani di diverse altre persone, ma Gein spiegò di averli dissotterrati da cimiteri vicini, cosa verificata poi dalle autorità. Nonostante sia stato interrogato su altri casi di scomparsa, non ha mai confessato altri omicidi e non sono emerse prove che li collegassero a lui.
Le invenzioni più clamorose della serie
La serie si prende una libertà enorme presentando una relazione romantica tra Gein e Bernice Worden prima dell’omicidio. Nella realtà Gein ha ammesso di volerne “possedere” il corpo perché gli ricordava sua madre, ma non c’è stata alcuna storia d’amore. Durante la sua permanenza in ospedale psichiatrico, Gein dichiarò di non aver mai avuto esperienze sessuali, coerentemente con la rigida educazione religiosa ricevuta.
Il personaggio di Adeline Watkins nella serie è quasi completamente inventato. Gein conobbe effettivamente questa donna, ma la loro amicizia durò solo circa sette mesi nel 1954 e fu molto più superficiale di quanto mostrato. La vera Adeline ha chiarito in un’intervista che non è mai entrata in casa sua e che i dettagli del loro rapporto erano stati gonfiati dai media. Nella serie, invece, diventa la sua confidente e complice, persino suggerendogli come agire.
L’ottavo episodio è forse il più fantasioso: mostra gli agenti dell’FBI John Douglas e Robert Ressler che consultano Gein per catturare Ted Bundy, come se fosse stato lui a fornire le informazioni decisive. Niente di tutto questo è mai accaduto. Bundy fu arrestato mentre cercava di sfuggire a una pattuglia di polizia. Questo episodio è un omaggio dichiarato a Mindhunter, altra serie Netflix, tanto che gli attori sembrano intenzionalmente simili a quelli di quella produzione.

Il primo episodio mostra Gein che uccide suo fratello Henry con un pezzo di legno durante un incendio boschivo. Nella realtà, Henry morì nel 1943 durante un incendio reale (che avvenne in primavera, non in inverno come nella serie), ufficialmente per asfissia da fumo. Sebbene il corpo presentasse alcuni segni che potevano sembrare ferite, all’epoca non fu considerato un caso di omicidio. Gein non ha mai confessato di aver avuto un ruolo nella morte del fratello, ma dopo la scoperta dei suoi crimini alcuni hanno sospettato il suo coinvolgimento.
La serie mostra Gein che rapisce e uccide la babysitter Evelyn Hartley, che nella realtà scomparve davvero nel 1954 ma a oltre due ore di distanza da casa sua. Gein fu interrogato perché aveva parenti in quella zona, ma negò qualsiasi coinvolgimento e fu scagionato. Il caso rimane irrisolto. C’è poi una scena in cui Gein uccide un’infermiera nell’ospedale dove è ricoverato, episodio poi rivelato essere un’allucinazione. Nella realtà Gein fu considerato un paziente modello e non fece mai nulla del genere. La serie inventa anche l’omicidio di due cacciatori con una motosega, cosa che non corrisponde né ai suoi crimini reali né al suo modus operandi.
Cosa invece corrisponde al vero
Alcuni dettagli macabri mostrati nella serie sono purtroppo autentici. Gein confessò di aver indossato parti dei corpi che aveva riesumato dai cimiteri, spinto dal desiderio conflittuale di diventare simile a sua madre; creò effettivamente degli oggetti con i resti umani, inclusa una ciotola ricavata da un cranio e un paralume di pelle umana. È vero anche che lavorava saltuariamente in città e occasionalmente faceva da babysitter ai bambini del paese, anche se non c’è prova che li portasse mai a casa sua. La serie esagera la sua eccentricità: nella realtà era considerato strano ma abbastanza affidabile dai suoi vicini.
Dopo l’arresto, avvenuto nel 1957, alcuni suoi oggetti furono venduti all’asta e la sua Ford del 1949 fu acquistata per 760 dollari, poi portata in giro come attrazione a pagamento finché non fu vietata dalle fiere per la sua origine macabra.
Ryan Murphy, creatore della serie, non ha mai nascosto di prendersi licenze creative. L’ultimo episodio gioca persino in modo autoironico con questo aspetto, quando un’infermiera suggerisce a Gein di scrivere un libro perché “tanti altri hanno già preso libertà con la sua storia”. La serie usa spesso le presunte allucinazioni schizofreniche di Gein come espediente per inserire elementi fittizi, tra cui conversazioni radio impossibili con la criminale nazista Ilse Koch. Questa tecnica narrativa permette agli autori di inserire scene d’impatto senza doversi preoccupare troppo della veridicità storica.
Alla fine Ed Gein trascorse gli ultimi anni della sua vita negli istituti psichiatrici del Wisconsin e morì nel 1984 a 77 anni per un’insufficienza respiratoria legata a un cancro ai polmoni. La sua storia ha ispirato personaggi iconici del cinema horror come Norman Bates in Psycho e Leatherface in Non aprite quella porta, diventando una figura centrale nell’immaginario culturale del serial killer americano.



