Ernesto Bergamasco, nato il il 17 febbraio 1950 a Torre Annunziata, è stato uno dei pugili italiani più talentuosi. Morto all’età di 74 anni in seguito a una breve malattia, Bergamasco, partecipò alla spedizione olimpica a Monaco ’72, divenendo testimone suo malgrado del sanguinoso agguato contro la squadra israeliana. Agli inizi della carriera è stato anche celebrato dal leggendario Rocky Graziano. Bergamasco è stato titolare di una palestra costruita recentemente nel quartiere Deriver, a Torre Annunziata, in provincia di Napoli, aveva una moglie, Francesca, e cinque figli. Tra questi, solo uno, Raffaele ha seguito le orme del padre come boxeur.
Nipote d’arte (suo zio era l’allenatore Lucio Zurlo), Ernesto Bergamasco si avvicina alla boxe in giovane età e sul ring trova le motivazioni per reagire a un ambiente ostile. Cresciuto nel Rione della Cuparella, nell’hinterland napoletano, Bergamasco dimostra subito una certa propensione per il pugilato, entrando giovane in Nazionale. Durante uno dei suoi viaggi in giro per il mondo incrocia la strada con Rocky Graziano, campione del mondo dei pesi medi tra il 1947 e il 1948, che si complimenta con lui per il match vittorioso contro il portoricano Juan Ruiz al Madison Square Garden di New York.
La svolta arriva negli anni ’70 quando diventa campione italiano dilettanti a Udine e a Roma. Il successo lo lancia definitivamente nella squadra azzurra, tanto che è il capitano a Monaco. I Giochi di Monaco sono segnati dal terribile attentato agli atleti israeliani da parte dei palestinesi di Settembre Nero, una vicenda raccontata anche nel film Munich, di Steven Spielberg. Una strage nel villaggio olimpico che provoca 17 morti. Bergamasco vede i cadaveri per terra. “Spararono a pochi metri dal nostro alloggio – raccontò al giornalista Adriano Cisternino nel libro Le stelle del ring –. Corremmo alla finestra e ci rendemmo conto che non era uno scherzo. Noi pugili ci riunimmo in un’unica stanza. Eravamo letteralmente terrorizzati. Quella sera toccava a me”, spiegò.
Ma l’angoscia per quanto visto è tale, quasi da tramortirlo. “Salii sul ring sconvolto dagli eventi, ero quasi paralizzato, non riuscii a portare un solo pugno in tre riprese. Persi con un tailandese, tale Bantow, avversario che in altra occasione avrei battuto senza problemi. Ma in quelle condizioni, come tutti i miei compagni, non vedevo l’ora di tornare a casa”.
Da professionista sfiora due volte il titolo italiano, sempre negli anni ’70. A inizio anni ’80 lascia il ring con un record di 41 incontri, 31 vittorie di cui 9 per ko, e 10 sconfitte. Appena ventottenne, inizia a insegnare boxe, fondando nel ’93 la palestra Oplonti, nome romano di Torre Annunziata. Proprio qui lavora anche come agente della polizia municipale. Bergamasco compare in un murales commemorativo per i 60 anni della boxe vesuviana, recentemente svelato.