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Home » Innovazione » Scienza » Chi ha scoperto davvero il DNA? La storia di Rosalind Franklin è un monito

Chi ha scoperto davvero il DNA? La storia di Rosalind Franklin è un monito

A scoprire la struttura del DNA non furono solo Watson e Crick: a dar loro uno spunto essenziale fu la scienziata Rosalind Franklin.
Gabriella DabbeneDi Gabriella Dabbene28 Febbraio 2025
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Rosalind Franklin a Parigi
Rosalind Franklin a Parigi (fonte: Vittorio Luzzati / cshl.edu)
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Ogni scoperta scientifica è frutto non solo dell’intuito e della perseveranza dello studioso che l’ha fatta, ma anche delle ricerche effettuate dai suoi predecessori e dal contributo dei suoi colleghi. Nel corso della storia è accaduto tuttavia più di una volta che a ricevere il merito per una determinata scoperta non fossero i loro effettivi autori, ma altri scienziati coinvolti più o meno marginalmente nello stesso progetto. È questo il caso, ad esempio, di James Watson e Francis Crick, che nel 1963 ricevettero il Premio Nobel in Fisiologia o Medicina per la scoperta della struttura a doppia elica del DNA, in realtà frutto delle ricerche della scienziata Rosalind Franklin.

Rosalind Elsie Franklin, nata a Londra nel 1920 e da sempre appassionata di chimica, fisica e matematica, nel corso dei suoi studi universitari a Cambridge si era interessata anche alla cristallografia, che sarebbe stata indispensabile per le sue future ricerche. Dopo il dottorato in chimica fisica con uno studio sulle fibre di carbone, lavorò per qualche anno a Parigi specializzandosi nella tecnica della diffrazione dei raggi X, utilizzata per analizzare molecole di grandi dimensioni; in seguito cominciò il suo lavoro di ricercatrice associata al Wheatstone Physics Laboratory del King’s College di Londra, all’unità di ricerca di Biofisica, sotto la direzione di Maurice Wilkins.

Nonostante l’oggetto originario delle sue ricerche fosse la diffrazione a raggi X di proteine in soluzione, rientrò in un gruppo di scienziati che intendevano analizzare la struttura del DNA, insieme al suo studente Raymond Gosling e allo stesso Wilkins. In questo contesto, e in un ambiente lavorativo ostacolato da sessismo e ambizioni individuali tra scienziati, la Franklin mise a punto una microcamera in grado di scattare immagini ad alta definizione di singoli filamenti di DNA sfruttando i raggi X. Quando Wilkins, nel 1951, spiegò ad un convegno a Napoli l’importanza dello studio degli acidi nucleici e della cristallografia, erano presenti anche i giovani James Watson e Francis Crick del laboratorio Cavendish di Cambridge, che ben presto avrebbe rivaleggiato con il King’s College.

James Watson e Francis Crick con un modello di DNA nel 1953
James Watson e Francis Crick con un modello di DNA nel 1953 (fonte: DNA Science)

Lo studio delle immagini del DNA da parte della Franklin si intensificò ulteriormente nei mesi successivi, fino alla realizzazione di una foto particolarmente nitida da cui la scienziata dedusse la struttura a elica del DNA: la foto numero 51. Nonostante la portata straordinaria di queste scoperte, la Franklin si trasferì ben presto al Birbeck College, e poco dopo Wilkins, che si era procurato delle copie delle immagini e delle relative ricerche da lei ottenute, le condivise con Watson, il cui laboratorio aveva iniziato solo di recente a studiare la struttura del DNA. Watson e Crick furono infine i primi a pubblicare la scoperta, basando le proprie ricerche sui dati ottenuti dalla Franklin ma senza darle alcun credito.

Nonostante la mancata riconoscenza riservatale, la Franklin si dedicò ad altri campi della ricerca, in particolare incentrata sul meccanismo di infezione del virus del mosaico del tabacco (TMV). Ulteriori scoperte in questo campo le consentirono di ricevere il consenso dell’ambiente scientifico e pubblicare i suoi studi, ma poco tempo dopo ella scoprì di essere affetta da cancro alle ovaie (probabilmente dovuto alla prolungata esposizione ai raggi X) e morì nel 1958 a soli 37 anni.

Nel 1962, quando Watson, Crick e Wilkins vinsero il premio Nobel per la scoperta della struttura del DNA, non fecero alcun riferimento ai meriti di Rosalind Franklin. Quando Watson pubblicò la sua autobiografia La doppia elica, 6 anni dopo, la apostrofò come “la terribile e bisbetica Rosy” e insinuò che non andasse d’accordo con i suoi colleghi maschi. Solo in un secondo momento gli scienziati ammisero che erano stati i suoi dati sperimentali a confermare il modello teorico che essi avevano sviluppato, pur passando alla storia come unici autori di tale ricerca.

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