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Home » Attualità » Foto rubate, commenti osceni, 32mila uomini: il lato mostruoso del gruppo FB “Mia moglie”

Foto rubate, commenti osceni, 32mila uomini: il lato mostruoso del gruppo FB “Mia moglie”

Il caso del gruppo Mia Moglie apre il dibattito sulla violenza digitale e il ruolo delle piattaforme social. E Meta rimuove il gruppo.
Tiziana MorgantiDi Tiziana Morganti20 Agosto 2025Aggiornato:20 Agosto 2025
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Mia Moglie, la pagina Facebook del gruppo che sta scatenando polemica e denunce.
Mia Moglie, la pagina Facebook del gruppo che sta scatenando polemica e denunce. - Fonte: Radio Popolare
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Un gruppo Facebook chiamato Mia Moglie è finito al centro di un acceso dibattito pubblico e di una serie di denunce alla polizia postale. Dietro un nome apparentemente innocuo, infatti, la community ha raccolto oltre 32.000 iscritti, tutti uomini, che pubblicano e commentano fotografie delle proprie mogli e compagne, spesso in contesti privati, senza il consenso delle dirette interessate e con commenti sessualmente espliciti. Una pratica che, secondo gli esperti e le attiviste che hanno sollevato il caso, non solo alimenta un clima di sessismo e misoginia, ma può configurarsi come reato. Ora, la notizia è di poco fa, Meta ha deciso di rimuovere il gruppo per per violazione delle policy contro lo sfruttamento sessuale di adulti, come diffuso da Ansa.

A denunciare la vicenda è stata la scrittrice e attivista Carolina Capria sul profilo social L’ha scritto una femmina, che ha segnalato l’esistenza del gruppo attraverso i suoi canali social. Le immagini condivise spaziano da foto intime a scatti personali sottratti a contesti privati, spesso accompagnati da commenti derisori, volgari e umilianti. Per Capria e per le associazioni che la sostengono, il problema non è soltanto la violazione della privacy individuale, ma anche la normalizzazione di una cultura che riduce le donne a oggetti di scambio e spettacolo.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da carolina capria (@lhascrittounafemmina)

La vicenda, inoltre, ha assunto una dimensione legale. La polizia postale ha ricevuto numerose segnalazioni e sono state presentate denunce formali. In base al Codice Rosso (art. 612-ter del Codice penale), la diffusione non consensuale di immagini intime può portare a pene fino a sei anni di reclusione. Un aggravante rilevante, poi, è rappresentato dal numero degli iscritti e dal carattere sistematico delle pubblicazioni, che amplificano il danno alle vittime.

Ma come è potuto accadere questo, visto le norme in vigore sui social rispetto ai contenuti pubblicati? Nonostante le norme di Facebook vietino la diffusione di contenuti sessualmente espliciti non autorizzati, il gruppo è rimasto attivo per mesi, protetto da una modalità privata che ne limitava la visibilità ma non la pericolosità.

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